Foto © Lino Brunetti

In Concert

King Hannah live a Milano, 21/7/2024

Sono inglesissimi e vengono dalla città in cui nacquero i Beatles, ma i King Hannah danno l’impressione di sognare l’America piuttosto che eterni campi di fragole e cieli di marmellata, non solo perché si sentono bene solo quando ascoltano John Prine, ma perché, a giudicare dalle affascinanti atmosfere della loro musica, si direbbe abbiano studiato a memoria il terzo album dei Velvet Underground, le malinconie lisergiche di certi Mazzy Star e qualche canzone dei Cowboy Junkies.

Nonostante l’afa soffocante e gli spietati sciami di zanzare, i scenografici Giardini della Triennale di Milano sono piuttosto affollati quando, intorno alle 22, i King Hannah salgono sul palco per l’ultima data di un tour italiano che promuove il più recente e bellissimo lavoro di studio Big Swimmer, quello che oltreoceano chiamerebbero “break-through album”: un disco in cui le traiettorie indie della loro musica si coagulano al meglio con un sentire americano fino a questo momento non così manifesto, tanto da raccogliere consensi un po’ ovunque e conquistare perfino la copertina di una rivista di settore piuttosto ortodossa quale Buscadero.

I King Hannah sono fondamentalmente Hannah Merrick, una cantante e chitarrista con una magrezza da passerella e un magnetismo da femme fatale che la fanno sembrare una via di mezzo tra Kate Moss e PJ Harvey, e Craig Whittle, un chitarrista dall’aria qualunque che suona assolo selvaggi e scariche di feedback come fosse un J. Mascis con un qualche senso della misura, ma sul palco della Triennale sono in quattro, con basso e batteria intenti a spazzolare di grazia i momenti di quiete e a dare una bella spinta in quelli più rumorosi.

“...Il duo di Liverpool ha così forgiato un rock alternativo che intreccia suggestioni grunge anni ’90 e tocchi garage con sapori country-folk anni ’70...” secondo la giornalista del Corriere della Sera Raffaella Oliva ed è più o meno quanto pare accadere nel corso di un concerto, in verità non lunghissimo, probabilmente a causa dei problemi di salute di cui ha sofferto recentemente la Merrick, ma decisamente intenso e di grande impatto, in cui la band ha eseguito gran parte delle canzoni di Big Swimmer esaltandone la bellezza con una performance straordinaria, come non se ne sentivano almeno dall’ultima volta in cui i Dream Syndicate hanno suonato in città.

A dire il vero il concerto non inizia nel migliore dei modi, perché quando la band attacca la stupenda Somewhere Near El Paso, una canzone che da sola potrebbe essere un film o un romanzo, ci sono problemi con i microfoni, ma i King Hannah trasformano l’impasse in meraviglia, con una lunga intro atmosferica sospesa tra psichedelia e musica d’ambiente che parrebbe quasi la colonna sonora di una pellicola di David Lynch, con quell’insistito finale di chitarra che esplode in una stordente tempesta elettrica e che sfocia quasi senza soluzione di continuità nel nervoso assalto post punk di Milk Boy (I Love You), la quale sembra quasi sfuggita a un disco dei Dry Cleaning.

La Merrick ha una vocalità impostata su toni bassi e sensuali con cui può permettersi di interpretare croonerismi d’ispirazione jazz nell’ipnotica The Mattress, lisergici folk à la Kendra Smith come la stupefacente Go-Kart Kid (Hell No!) o spaziose ballate dall’aura country che potrebbero appartenere al repertorio di Emmylou Harris come le splendide Suddenly, Your Hand e John Prine On The Radio, mentre Whittle suona come avesse appreso i rudimenti del blues per spingersi oltre, alternando cavalcate chitarristiche e sfuriate di feedback che fanno venire in mente tanto i Crazy Horse di Neil Young quanto i Sonic Youth, come accade in una tesissima New York, Le’s Do Nothing, in una Davey Says in bilico tra i Velvet Underground e i R.E.M., in una Lily Pad in orbita nineties o in una Crème Brûlée che evoca lo stupore dei Mazzy Star e chiude il concerto tra l’entusiasmo generale.

Silenzioso nel corso dell’esibizione tanto da suscitare gli encomi della cantante, il pubblico rumoreggia al punto che i King Hannah sono costretti a tornare sul palco per concedere l’arioso folk-rock della bellissima titletrack Big Swimmer, davvero uno dei momenti più alti del concerto e, non c’è dubbio, una delle canzoni dell’anno, e concludere con l’euforico crescendo pop di una incantevole It’s Me And You, Kid.

Ancora molto giovani ma capaci di tenere il palco con disinvoltura e savoir-faire, i King Hannah si confermano come una delle band più esplosive e interessanti di ultima generazione, soprattutto dal vivo dove la loro musica prende direzioni diverse e tutte molto affascinanti. 

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