Foto: Lino Brunetti

In Concert

Josh T. Pearson live a Milano, 30/11/2018

Intenti a celebrare artisti, band, labels e quant’altro, ci dimentichiamo a volte di quanto importanti siano i promoters o un buon direttore artistico di un locale per la diffusione della buona musica. Sono persone che quasi mai finiscono sotto i riflettori, eppure se non ci fossero loro – tra l’altro prendendosi anche dei bei rischi – non potremmo vedere la buona parte dei concerti a cui assistiamo. Il tutto per dire che, non da adesso, Simone Castello sta facendo davvero un ottimo lavoro con la programmazione del Circolo Ohibò di Milano, proponendo un cartellone ricchissimo, fatto non solo coi live di alcuni degli esponenti migliori della musica indipendente italiana, ma anche con quelli di numerosi e sempre interessanti artisti stranieri. Stando solo alle ultime settimane, da qui sono passati Ought, Laurel, Nothing, Hugo Race e già annunciati per i prossimi mesi troviamo in lista band quali Built To Spill, Pontiak e Cloud Nothings!

In un venerdì sera di fine novembre, dall’Ohibò è passato anche Josh T. Pearson, il cantautore americano di super culto, intanto per via dell’unico album della sua ormai mitizzata band, i Lift To Experience, e poi per aver realizzato quell’autentico capolavoro che è The Last Of The Country Gentlemen. Vista la statura del personaggio sarebbe stato lecito trovare la folla delle grandi occasioni, ma i tempi son quelli che sono, la sua è musica tutt’altro che facile – nonostante l’allegerimento operato con l’ultimo The Straight Hits – e insomma alla fine ci ritroviamo in un centinaio o poco più di persone ad assistere alla sua performance.

Mentre sul palco c’è Tia Airoldi, bravo cantautore milanese le cui canzoni in inglese si collocano dalle parti di un indie-folk venato blues, Josh lo si vede vagare con aria abbastanza stralunata tra il pubblico. A guardarlo così pare uno che non sa bene dove sia finito e cosa ci faccia lì, in ogni caso sembra fin da subito un personaggio abbastanza particolare, per così dire.

La cosa viene confermata dal suo atteggiamento sul palco, informale a dir poco. Ci racconta di esser  arrivato a Milano al pelo, avendo perso l’aereo a Parigi per colpa di un autista di Uber, cosa che poi lo ha costretto a prendere un altro volo dopo sette ore di attesa in aeroporto. La cosa la rimarca due o tre volte e mi sa che non deve proprio essergi andata giù. In compenso se la ridacchia in continuazione, scambia battute col pubblico, dice di riconoscere un ragazzo (il quale gli ricorda i suoi precedenti passaggi milanesi) che in effetti gli risponde: “Ehm, si, ti ho intervistato qualche mese fa”. Insomma, quasi pare di essere allo spettacolo di un comedian piuttosto che a un concerto.

Il tutto cambia però quando la bocca la apre per cantare e lì non ce n’è per nessuno. Al contrario dei concerti fatti durante primavera ed estate nei festival con la sua band, in questa porzione di tour è da solo con la chitarra elettrica. Un paio di settimane prima, dice, ha chiuso con la sua ragazza, quindi ha accantonato le più sbarazzine canzoni dell’ultimo disco, per tornare a quelle tristi del primo album.

E saranno in effetti estratti dal suo masterpiece ad essere i protagonisti della performance, canzoni visionarie e strazianti come Sweetheart I Ain’t Your Christ, Thou Art Loosed o Woman, When I’ve Raised Hell. La voce passa dal sospiro più intimo e dal raccoglimento più introspettivo al più lancinante innalzamento verso il cielo, facendo intravedere anche solo attraverso questi passaggi quella luminosità spirituale che contraddistingue tutta l’arte di questo unico artista. A sorreggere le liriche c’è, come si diceva, solo una chitarra elettrica, che lui suona quasi sempre arpeggiata e da cui trae un flusso di note che viaggiano all’unisono coi saliscendi delle melodie, facendosi bastare solo ampie dosi di riverbero e nessuna distorsione.

Sono momenti di pura magia, che hanno reso la serata autenticamente significativa ed emozionante, seppur sul palco Pearson ci sia rimasto proprio lo stretto necessario. Ci ritorna giusto per un pezzo e quando qualcuno gli chiede I’m So Lonesome I Could Cry, lui risponde con una cover di un pezzo di George Strait, dimostrando ancora una volta la sua natura di simpatico gaglioffo bastiancontrario.

Ora, a parte l’EP live appena pubblicato, pare abbia diverse cose in ballo, ma chissà quanto ci metterà a pubblicarle, se non addirittura a registrarle. Come che sia, noi saremo qui ad aspettarlo.

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