JOSÉ GONZÁLEZ
LOCAL VALLEY
CITY SLANG
***½
Diventato subito famosissimo all’epoca del suo esordio, nel 2003, con una cover di Heartbeats dei connazionali The Knife, lo svedese d’origini argentine José González pubblica ora il suo quarto album in quasi vent’anni di carriera – ma ce ne sarebbero da aggiungere due realizzati coi Junip – che arriva a sei anni di distanza dal precedente Vestiges & Claws.
Nel frattempo è diventato padre e la cosa ha indubbiamente avuto un’influenza nel rendere Local Valley un disco decisamente più luminoso, avvolgente e positivo del precedente, con liriche influenzate da filosofi umanisti come Alain De Botton e Daniel Dennett e uno sguardo sulle cose del mondo filtrato dall’amore, dall’arte e dalla ragione.
Musicalmente non ci troviamo di fronte a nessuna vera rivoluzione, lui stesso ha dichiarato che il nuovo album si pone sulla stessa linea di quelli che l’hanno precedeuto e se dobbiamo cercare delle novità stanno nelle sfumature o nei particolari. L’aver in passato jammato col chitarrista Tuareg Bombino ha ad esempio immesso una sfumatura afro blues in alcuni pezzi (sentitevi Valle Local per farvene un’idea) e anche le sue radici latine risultano forse un po’ più in prima linea, un po’ per l’aver abbracciato lo spagnolo come una delle lingue disponibili per scrivere canzoni (assieme all’inglese e allo svedese) e poi per il modo in cui le sue radici s’infilano negli arpeggi della chitarra o nel comparto ritmico delle canzoni (Lasso In platealmente accoglie il beat di una bossa nova; in Swing, nella quale canta la fidanzata Hannele Fernström, unica presenza esterna nel disco, si possono rinvenire influenze ragga).
Nell’insieme è il solito, brillante folk pop a cui González ci ha negli anni abituato, gentile e melodico (El Invento, Visions), sottilmente onirico (The Void), intarsiato in arabeschi di corde e melodia (Horizons), movimentate da qualche percussione o da una drum machine (l’ipnotica Head On o Tjomme, ad esempio), solo qui e là venato da un pizzico di malinconia (EnStundPâ Jorden).
Anche in questo disco non rinuncia a una cover, ma stavolta di fatto coverizza se stesso, visto che la bella ballata Line Of Fire era un pezzo dei suoi Junip. È un disco carezzevole e avvolgente Local Valley, inframmezzato dal canto degli uccellini, che vi terrà non poco compagnia nella transizione tra il calore dell’estate e le prime brume autunnali.