Foto: Rodolfo Sassano

In Concert

José Gonzalez live a Milano, 18/11/2015

Non è certo uno che si affanna lo svedese (ma di evidenti origini argentine) José Gonzalez. Tre album in tredici anni, un grande breakthrough record nel 2003 (Veneer, arrivò nella top ten britannica), un seguito atteso un po’ troppo lungo (In Our Nature del 2007), e solo quest’anno il terzo lavoro con il sempre notevole Vestiges & Claws. In mezzo comunque l’esperienza con i Junip, ma in ogni caso il timido ragazzo, visto il 18 novembre sul palco dell’Alcatraz di Milano, ha tutta l’aria di non avere nessuna fretta nell’inseguire il successo.

Eppure ancora oggi è riuscito a riempire un locale di media grandezza con uno spettacolo di indie-folk che gioca molto più con i silenzi che con i ritmi. Concerto breve (un’ora e un quarto), aperto prima dai funambolici ritmi dei Cristobal and The Sea, strano combo dedito ad un suggestivo mix di musica brasiliana e muro del suono da shoegaze anni novanta (loro lo definiscono “tropicalia pop”), che hanno comunque riscaldato bene l’ambiente anche grazie alla magnetica presenza della vocalist e flautista Leila Seguin.

Gonzalez invece si è presentato con una bizzarra formazione con due percussionisti, due chitarre acustiche e un sintetizzatore, strumentazione che ovviamente non ha portato ritmo, ma tanta suggestione e trame armoniche per nulla banali. Non è neanche uno che ama scervellarsi sulle scalette, se è vero che il menu è stato pressoché lo stesso delle più recenti date europee, aperto con una Crosses suonata in solitaria, unico brano, insieme all’acclamatissima Heartbeats (una cover dei Knife), proveniente dal suo disco di esordio. Non rivisitato troppo neanche In Our Nature, da cui sono state ripescate la coinvolgente Killing For Love (uno degli highlight della serata), la Down the Line con cui ha chiuso il concerto e l’immancabile cover di Teardrops dei Massive Attack.

Le cover hanno avuto il loro spazio dunque, a partire da una ovviamente irriconoscibile Hand On Your Heart, pop song della Kylie Minogue anni ottanta, e da This Is How We Walk On The Moon di Arthur Russell, mentre Barbarossa, altro interessante artista svedese qui in veste di vocalist e tastierista (da recuperare il suo album Imager), ha avuto il suo spazio con la stupenda Home. Per il resto i brani tratti dall’ultimo album la fanno da padrone, con particolar menzione per la complessa What Will che ha scaldato la serata, Leaf Of e la più baldanzosa Let It Carry You. Gonzalez parla poco e il clima resta malinconico anche quando affronta un brano tutto sommato gioioso come Walking Lightly, pescato dal songbook dei Junip (come anche Line Of Fire).

Nel complesso un concerto molto elegante, anche se Gonzalez pare non lasciarsi mai andare, le versioni dei brani sono sempre molto poco elaborate rispetto a quelle registrate in studio, e solo ai percussionisti sembra dato permesso ogni tanto di improvvisare qualche passaggio. Forse una questione di stile o anche comunque un suo evidente limite espressivo (alla fine ha un unico registro), ma dal palco dell’Alcatraz ha comunque dimostrato il buon spessore della sua carriera.

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