Recensioni

Jordi Pèlach, Ningu’ Estima El Carter

JORDI PÈLACH
NINGU’ ESTIMA EL CARTER

U98 MUSIC
***

Le imperscrutabili strade del rock non avevo dubbio che passassero da Barcellona (sede di un Festival di portata globale), ma rimasi sorpreso dal ricevere un disco inviatomi da Jordi Pèlach che da una decina di anni presenta nei  locali della capitale della Catalogna la sua musica, nutrita di Gram Parsons, Scott Walker, Bonnie “Prince” Billy, Neil Young e soprattutto di Johnny Cash.

Questo Ningu’ Estima El Carter è il suo secondo album ed è un disco che trasuda musica che pare essere influenzata pure dal desert-sound rivisitato magari in chiave Spaghetti Western, visto che è ambientato in una distopica cittadina Catalana desertica, partendo da un immaginario diario attribuito al postino (carter) antimilitarista che, durante una guerra,  racconta la sua vita e le peripezie del suo popolo.

Le canzoni sono cantate in lingua Catalana che ci riporta echi di Italiano, Sardo, Occitano, donando un che di assimilabile alla nostra lingua; il sound è costruito da una solida band: Arlo Bigazzi al basso, Flavio Ferri dei Delta V (che è il produttore) al basso elettrico; Ulrich Sandner alle chitarre e all’armonica, Alex Carmona alla batteria , Marta Rosell al flauto traverso e Olden al canto.

Si susseguono canzoni come la poetica title-track, una ballad triste (con twangy guitars) che racconta come nessuno dia  retta al postino che porta notizie dall’inferno della guerra; altro testo drammatico con sonorità Morriconiane, con una lancinante armonica è Els Meus Jos De Fora De Mi; semplicemente stupenda è la ballad elettrica Amor Infint dall’incedere alla Neil Young; sorprendenti i toni  lievi del canto nell’acustica e drammatica Delit.

Tonalità quasi metal caratterizzano l’inizio di Ulls De Mandarina; Res Despres De La Mort è la perfetta cavalcata elettrica del Pelach che insegue la Cortez The Killer di Young; l’amato Cash è chiaramente il punto di riferimento della ballad country, con tanto di armonica, Nono; il disco si chiude con una drammatica, elettrica e sporca Non Tornaran Les Orenets, vero anthem di un disco che non può lasciare indifferenti.

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