In Concert

Jon Hopkins live all’Astro Festival, Milano, 30/6/2018

L’Astro è un bel festival giunto quest’anno alla sua terza edizione, la seconda a Milano dopo che la prima s’era svolta a Ferrara. La musica su cui si concentra è quella elettronica e orientata al dancefloor, pertanto un po’ distante dagli usuali scenari buscaderiani, ma il valore degli artisti in cartellone ne ha sempre fatto comunque un punto d’eccellenza, quindi interessante per quanti hanno a cuore la buona musica, al di là delle distinzioni di genere.

Curiosa, semmai, nonché discutibile, la sovrapposizione con un altro festival, non proprio uguale, ma potenzialmente diretto allo stesso pubblico, quale il Terraforma, avente luogo in quel di Bollate nello stesso identico weekend. A differenza di quello, l’Astro si svolge lungo un’unica, lunga serata sfociante nella notte, coi suoi tre palchi dislocati nella collaudatissima sede del Circolo Magnolia.

Sul posto io arrivo abbastanza presto, anche perché le cose che m’interessano di più sono quelle che si svolgono a inizio serata. Intorno alle 20 il pubblico è sparuto assai e, in linea di massima, molto più interessato all’area in cui viene servito cibo e bevande che a quello che succede su uno dei suoi palchi. La colpa è forse anche di un volume piuttosto basso, che poco attira verso lo stage sul quale campeggia un nome a suo modo leggendario dell’ambient e dell’elettronica italiana, Gigi Masin. In pratica quasi non ci si accorge del passaggio tra il precedente dj set di Walking Shadow e il suo arrivo sul palco e i suoni che mette in campo scivolano quindi via indolori e tra la disattenzione generale, un po’ lo scotto da pagare in contesti del genere quando si è chiamati ad aprire le danze mentre tutti sono più preoccupati a fare altro.

Le cose cambiano decisamente quando a salire sul palco principale è George FitzGerald. Il producer inglese, accompagnato da un tastierista e da un batterista, oltre che in alcuni pezzi da una bravissima cantante d’impostazione soul, ha messo in scena le atmosfere del suo recente All That Must Be, come in quell’album stando in bilico tra le fluttuanti e pulsanti traiettorie dei pezzi strumentali e quelli più platealmente song oriented degli svettanti pezzi cantati. Nell’insieme una performance più che buona.

L’artista di punta di quest’anno era però Jon Hopkins, il nome autenticamente grosso dell’edizione 2018. Con un nuovo, bellissimo disco fresco di stampa, Singularity, il musicista è riuscito ad abbattere qualsiasi tipo di pregiudizio potessi avere nei confronti di uno show di questo tipo. Capace di incarnare perfettamente lo spirito cosmico spaziale di un festival chiamato Astro, Hopkins ha spedito tutti nelle stelle con una musica permeata di psichedelia.

Con dei visuals caleidoscopici, ultra cangianti di pezzo in pezzo e veramente efficaci alle sue spalle, tra l’altro uniti ad un altrettanto riuscito gioco di luci, ha dato vita ad un trip ipnotico durato un’ora. La techno nelle sue mani diventa un battito che fa ballare, ma al contempo induce alla meditazione trascendentale, alla comunione panica con l’universo circostante, che pare esplodere in una bolla amniotica in cui coesistono caos e armonia, in un rifrangersi continuo di suggestioni visionarie e immagini evocative.

Rimane sempre una componente ambientale nella sua musica, quando non addirittura neo-classica (Hopkins è un pianista), ma qui, con la musica sparata dalle casse a tutto volume, con le luci e le figure impresse nella retina, è il lato più d’impatto ad avere il sopravvento, in uno show che alla fine non è difficile definire autenticamente emozionante ed esaltante.

Così emozionante che perdo un po’ d’interesse per le cose che vengono dopo – i live di Ross From Friends (che occhieggio distrattamente) e Âme, alcuni dj set che andranno avanti fino al mattino – e che finirò per non seguire, ancora con la testa tra gli astri dopo il concerto del grandissimo Hopkins.

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