Recensioni

Jon Anderson & The Band Geeks, True

JON ANDERSON & THE BAND GEEKS
TRUE
FRONTIERS
***1/2

Tra i personaggi di rilievo di casa Yes, a parte il primo Rick Wakeman, autore di alcuni dischi di incredibile successo commerciale, Jon Anderson, che del gruppo storico insieme a Steve Howe ne è stato l’anima, è senz’altro quello che ha saputo un po’ più affrancarsi dalla vecchia band, così da produrre, negli anni, da solo, ma anche collaborando con terzi (Vangelis su tutti), dischi di buon valore.

Molto del segreto della sua lunghissima carriera, oramai quasi sessantennale, è legato alla sua voce che, ancora oggi, pare identica a quando si dilettava con Roundabout I’ve Seen All Good People. Photoshop potrebbe far miracoli, ma le foto che appaiono su questo nuovo True, ce lo restituiscono ancora con un’aria parecchio giovanile, quasi non fosse vero che quest’anno le primavere di questo distinto signore inglese, diventato poi cittadino americano, toccheranno il numero ottanta.

Non sappiamo se True sarà il suo commiato artistico, né glielo auguriamo, data la splendida forma di cui si diceva, ma crediamo che gli amanti degli Yes e del prog in genere, a cui il disco è senza dubbio rivolto, potrebbero rimanere colpiti dalla bontà di quest’ultimo lavoro condiviso con la Band Geeks. Quest’ultima risulta essere un manipolo di ottimi musicisti della East Coast, curiosamente spesso di origine italiane, esistente già da tempo e capitanata da Richie Castellano (membro dei Blue Öyster Cult da una ventina d’anni), la quale nelle proprie performance live ha dato sempre grande spazio e risalto al repertorio degli Yes.

Facile capire come Anderson li abbia conosciuti e, alla luce di quest’album, come abbia ritenuto fattibile produrci del nuovo materiale insieme, questo dopo una serie di ben riusciti live acts. Non ci giriamo intorno, pare di sentire un disco degli Yes, e per quanto Cut From the Stars (album uscito lo scorso anno per lo storico gruppo) fosse una prova più che dignitosa nell’ambito di cui trattiamo, questo True è anche meglio, ne saranno felici i fans, forse un po’ meno Steve Howe.

Nove brani per poco meno di un’ora di musica che, oltre a riportarci nei suoni e nelle fiabe, a volte mistiche, altre esoteriche o ancora di pura fantasia, care al suo autore, ci lasciano un sapore frizzante e gioioso in bocca. In effetti, la solarità delle composizioni e la splendida performance vocale di Anderson (anche il gruppo non è male) fanno di True la cosa migliore partorita da molti anni da questa strana famiglia allargata, dato che Anderson stesso si è sempre rifiutato di non sentirsi parte dell’entità Yes.

Ma lasciamo perdere il trademark e i bisticci di famiglia e gustiamoci delle belle cavalcate come le due iniziali The Messenger Shine On, divertiamoci con le lunghe e raffinate Counties and Countries e, ancor più, con la suite di Once Upon a Dream, più di sedici minuti che riescono davvero a sorprendere gli amanti e i nostalgici dei brani lunghissimi che un tempo coprivano intere facciate.

Intendiamoci, niente di nuovo, né tantomeno nuove Close To The Edge, ma qui si sente che il tutto è fatto con la gioia di fare, sorretto da belle melodie e da ottime prove strumentali. L’ascolto di questo disco non è affatto faticoso, una volta accettato di (ri)entrare in questo mondo, che molti di noi hanno comunque conosciuto (e anche amato) una cinquantina d’anni fa.

Tutti i membri della Band hanno partecipato alla scrittura dei brani, e citiamo qui il lavoro alle chitarre di Richie Castellano e di Andy Graziano, così come l’Hammond di Robert Kipp e le percussioni di Andy Ascolese. Il tempo di citare un altro paio di brani, come la bella e atipica Realization Part Two (non ci risulta da nessuna parte la part one, ma fa niente) dove si sfiora quasi il calypso e la finale, lenta e sentita Thank God, e non pare un caso il suo posizionamento in scaletta, dove l’autore appare grato per quanto avuto nella sua esistenza.

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