Avrebbe meritato ben altro pubblico Joanne Shaw Taylor la sera del 21 febbraio al Legend di Milano, ma quelli che c’erano sono stati ampiamente ricompensati da un set tosto, appassionato, carico di rock e di blues.
L’apertura del concerto è stata affidata alla Fabio Marza Band, il quartetto capitanato dal chitarrista e cantante Fabio Marzaroli e di cui fanno parte la cantante Greta Bragoni, il bassista Fabio Mellero ed il batterista Max Ferraro, che ha sintetizzato in 35 minuti di esibizione il meglio del loro album Nightmare più un titolo del nuovo disco in uscita ad aprile. Seguo da qualche tempo la FMB ed il costante lavoro della band ossolana sta dando i suoi frutti, distanti da un blues canonico e standardizzato, anche per via della presenza di una voce femminile e dell’eccellente tecnica chitarristica del leader, completamente padrone della sua Gibson 345, i quattro sono migliorati a vista d’occhio e sono oggi artefici di un blues che amalgama con eleganza elementi swing e shuffle con impennate texane che alzano la gradazione del loro set piacevole e fresco.
Energia in quantità industriale viene riversata dal palco quando sale in scena Joanne Shaw Taylor, capelli lunghi biondi, viso dolce, pantaloni neri, camicetta dal vago sapore hippie, front woman di una band che conta su una sezione ritmica diligente e su un organista, Bob Fridzema, che con l’Hammond fa quello che vuole e riempie il sound di una densità incredibile. È l’alter ego della Taylor, insieme si scambiano gli assolo, si guardano, sorridono, sono complici di un set torrido e travolgente che la voce arrochita della cantante esalta in una resa live di grande intensità. Verrebbe da dire un set sudato, se non che nell’ora e mezzo del concerto non una goccia di sudore ha rigato il viso della Taylor, concentratissima nel ricreare il pathos del rock-blues anni settanta, una musica forte, viscerale, a tratti anche dura ma sempre equilibrata nella sua potenza, pur con divagazioni che spesso allungano i brani verso le jam.
Nata in Inghilterra ma adattata dalla città di Detroit, scoperta da Dave Stewart degli Eurythmics, sei album alle spalle compreso l’uscente Reckless Heart che è l’argomento di questo tour, Joanne Shaw Taylor è una outsider che non fa sconti in quanto ad energia e ribollente passionalità, inarrestabile chitarrista e cantante notevole, una piacevole sorpresa anche per il sottoscritto che la conosceva solo di nome. Ed invece il suo concerto è uno di quelli che meno te lo aspetti e più ti dà, in termini di genuinità della proposta, di feeling e di qualità musicale. Ha iniziato e poi proseguito sulle note di In The Mood di John Lee Hooker, la Taylor, facendo subito capire che il piatto sarebbe stato di quelli robusti e proteici, non un blues per stomaci deboli ma una escalation dove la sua Telecaster (in un paio di pezzi anche la Les Paul) avrebbe travolto chiunque ricreando quel hard-blues che a seconda dei brani avrebbe tirato in ballo Gary Clark Jr , Steve Ray Vaughan, Albert Collins, Joe Bonamassa, Led Zeppelin.
È bastato lo sconvolgente Let It Burn per attizzare il fuoco, l’Hammond usato in modo dilagante non faceva altro che alimentare l’incendio e rendeva il sound magmatico e rovente, poi sono arrivate Mud Honey , la nuova Reckless Heart, la dirompente White Sugar dove la Taylor dava dimostrazioni della sue eccellente tecnica strumentale, la più docile The Best Thing, il Chicago blues poi trasformato in jam di Time Has Come e tutto il resto, compresa la ballata No Reason To Stay, l’episodio più melodico di un concerto incandescente che ha portato sui palchi nostrani un vero talento del rock-blues.