In un momento in cui paradossali turbolenze minano il diritto e il piacere di andare ad un concerto rock, ci sono oasi in cui la buona musica fa rima con la solidarietà e la passione con il coraggio. Succede che qualche appassionato di musica rock trovi collaborazione nell’Associazione Genitori di una scuola media, l’amministrazione comunale dia una mano in termini di strutture, nel tal caso l’Aula Magna di un Istituto Comprensivo, e un pugno di sponsor locali aiutino economicamente a rendere fattibile un’esibizione che per i cittadini di Malnate, a due passi da Varese, diventa un fiore all’occhiello in termini culturali tanto da far invidia allo stesso capoluogo di provincia.
Che poi al centro dell’evento ci sia James Maddock, songwriter anglo-americano ormai adottato dall’Italia come prima è successo per Elliott Murphy e Willie Nile, non fa che aumentare l’eccezionalità dell’evento, perché è facile riempire in un uggioso e freddo venerdì sera di febbraio un’aula magna con Emma Marrone ma con uno sconosciuto che viene dalle strade di Leicester è tutta un’altra storia. Un piccolo miracolo della provincia italiana che ha visto l’auditorium riempirsi oltre misura (non era gratis il concerto, tanto per intenderci) con persone curiose e felici di vivere una sera diversa dalle altre. Naturalmente ci hanno messo del loro i tre sul palco, i quali il giorno precedente avevano interagito in un workshop organizzato da alcune insegnanti con gli alunni della scuola a proposito di musica e inglese, e la stessa sera si sono fatti accompagnare in un paio di brani dai gesti e le movenze a tempo dei ragazzi de la Nostra Famiglia, una associazione che si dedica alla riabilitazione di persone con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali in età evolutiva.
Tutto torna, la grande bellezza sta nelle cose semplici e nelle piccole entità che lavorano “nell’ombra”, che il rock possa dare una mano è solo una delle tante dimostrazioni che la musica del diavolo è tale solo per chi ha paura dei cambiamenti. E di rock se ne è sentito parecchio la sera del 12 febbraio anche se la musica di Maddock è sì rock ma di quel tipo stampato nelle pagine di una poesia urbana, intimo come un flusso di coscienza e addolcito da un romanticismo da backstreets che gli appassionati conoscono bene per aver riempito più di uno scaffale della loro casa con dischi di Van Morrison, Dirk Hamilton, Elliott Murphy, Steve Forbert, Joe Henry, Bruce Springsteen e via dicendo.
Così, seduto su uno sgabello con la sua chitarra acustica, con a fianco due straordinari sidemen come David Immergluck (Counting Crows, Cracker, John Hiatt), chitarra acustica e mandolino e Alex Valle (Francesco De Gregori, Enrico Ruggeri, Luigi Grechi) impegnato con un dobro suonato a mo’ di lapsteel, Maddock ha dato fondo alle sue canzoni sulla difficoltà del vivere, di sogni ardui da perseguire, di delusioni e speranze, di ragazze carine volate via, di chance buttate al vento, di albe indimenticabili non ai Caraibi ma nell’Avenue C di New York, città dove vive da diversi anni, di rovine amorose, cantandole col sorriso sulle labbra, con quel pizzico di ironia da rough boy adulto e un po’ playboy, con i dondolii di una ballata dolce e maliziosa che immancabilmente porta tutti in coro a seguirlo con un sing along.
Una voce arrochita che emana il calore del soul e una verve melodica che è la principale caratteristica delle sue ballate agrodolci, Maddock è uno degli ultimi santi rimasti in città, inutile resistergli, anche seduto su uno sgabello tiene la scena da provato storyteller e le sue canzoni sono una freccia dopo l’altra in cuori affamati di piccole verità. Sia che arrivino dal passato come l’emblematica When The Sun’s Out, l’ammiccante Chance, la torrenziale Hollow Love o la delicata Sunrise On Avenue C canzone con cui si è concluso l’applauditissimo concerto, sia che facciano parte del suo songbook più recente come Wake Up and Dream, una delle vette dell’esibizione impreziosita dal lavoro con le corde del bravo Immergluck, colui che sposta il baricentro del trio verso un suono roots, o come Once There Was A Boy e Rag Doll estratte dall’ultimo The Green nelle quali Alex Valle con misura e raffinatezza aggiunge del peperoncino blues.
Un trio ben assortito tra blues, folk e rock capace di un suono pulito e cristallino, un amalgama acustica ricca di sfumature al servizio di ballate romantiche ma non sdolcinate che hanno saputo portare tra le mura di un aula magna scolastica una ventata di buon gusto e benessere e ad aver contribuito a finanziare i progetti didattici di una scuola. Chapeau.