Bruce Soord è il cantante, chitarrista e principale compositore dei Pineapple Thief, ma sarebbe riduttivo definirlo solo come un artista Prog. Sarà che, incidendo per la Kscope, una label che ha sotto contratto band come Porcupine Tree, Anathema, Ozric Tentacles, TesseracT, e in generale nomi che si discostano dai canoni del genere, o se non altro li interpretano in maniera molto più personale, è abituato ad una certa versatilità, fatto sta che, rispetto ad altri illustri colleghi, la forma canzone è sempre stata al centro delle sue attenzioni. Accade ancora di più quando è in veste solista, dove a balzare in primo piano sono la dolcezza, l’eleganza e l’adesione alla grande tradizione della scrittura anglosassone. Luminescence, il suo terzo album a suo nome, è uscito a settembre, quattro anni dopo l’ottimo All This Will Be Yours, sfruttando un periodo di pausa dei suoi Pineapple Thief. Tra pochi giorni lo vedremo in Italia per tre date (il 5 ottobre a Bologna, il 6 a Milano e l’8 a Roma) e sarà da non perdere, visto che il musicista londinese gira davvero pochissimo in questa veste. Per farci dare qualche anticipazione in merito, e anche per discutere di un album davvero riuscito, lo abbiamo raggiunto via Zoom a Madrid, dove quella stessa sera avrebbe dato il via al giro di concerti.
Concedimi di partire da un ricordo personale. Nel febbraio 2022 sono venuto a vedere i Pineapple Thief a Trezzo d’Adda: sembra assurdo ma si era ancora in quel periodo di transizione in cui non si capiva bene se i concerti avrebbero potuto riprendere o meno; e voi decideste di suonare ugualmente, oltretutto con il pubblico in piedi. Fu una cosa unica, una delle primissime in Italia, e ricordo molto bene l’entusiasmo che si respirava, c’era veramente un’atmosfera incredibile…
Come hai detto tu, era veramente un periodo surreale. Avevamo il tour prenotato ma c’erano ancora tanti punti interrogativi: i posti sarebbero stati aperti? Ci avrebbero lasciato suonare? La gente sarebbe venuta? E ci siamo effettivamente chiesti se fosse il caso o meno di farlo lo stesso. Ci siamo risposti che sì, l’avremmo portato avanti; e quando siamo arrivati nei vari posti, è stato proprio come hai detto tu: il sollievo della gente, che aveva finalmente la possibilità di vedere un concerto e di vederlo in piedi. E’ stato davvero speciale ma allo stesso tempo è stato spaventoso perché, davvero, le cose cambiavano letteralmente da un giorno all’altro: avremmo potuto essere sul bus, diretti al locale, e ricevere una telefonata che ci avrebbe detto: “Scusateci ma qui hanno chiuso, non fanno entrare nessuno”. Però è stato bellissimo, soprattutto perché abbiamo potuto vedere la felicità del pubblico.
“Luminescence” (che tra parentesi mi è piaciuto davvero molto!) è il tuo primo disco solista dopo quattro anni: che cosa ti ha spinto a pubblicare nuovamente qualcosa di tuo, invece che coi Pineapple Thief?
Il primo motivo è che effettivamente era passato un po’ di tempo; in più i Pineapple Thief erano in un periodo di pausa, per cui circa 18 mesi fa ho deciso che avrei ripreso tutta la musica che avevo scritto in questi anni e avrei finalmente messo insieme il disco. Scrivere da solo è molto diverso rispetto al farlo per il gruppo: significa soprattutto prendere la chitarra, guardare fuori dalla finestra e cantare della vita, di ciò che significa per me. E’ una cosa fatta col cuore in mano, un lavoro proprio da cantautore e un’operazione molto catartica… ci ho messo quattro anni per potere finalmente arrivare a questo e il motivo vero per cui finalmente sono riuscito a farcela è che Gavin (Harrison, il batterista dei Pineapple Thief NDA) era in tour coi Porcupine Tree, quindi finché non avesse finito non avremmo potuto lavorare con la band. È stato lì che ho colto l’occasione al volo e mi sono rimesso a lavorare su quei pezzi. Ho finito a giugno e l’ho fatto uscire quest’anno perché, se tutto andrà bene, l’anno prossimo uscirà un nuovo disco dei Pineapple Thief…
Bellissima notizia, questa! Hai lavorato assieme ad Andrew Skeet (The Divine Comedy, ma anche un’importante carriera come sonorizzatore di produzioni televisive NDA) e credo che il suo contributo sia stato molto importante a livello di sound design: i brani sono prevalentemente acustici ma il lavoro che ha fatto con le orchestrazioni è davvero superbo…
Conoscevo Andrew da prima, perché ci avevo già lavorato coi Pineapple Thief, sapevo di che cosa fosse capace. Qui è successo che avevo finito il disco, senza gli archi, e allora mi sono masterizzato un cd (so che è una cosa molto old school ma a me piace ancora) e l’ho messo in macchina, così avrei potuto farlo sentire alla mia famiglia, è sempre un bel test per capire se un disco funziona o no. Gliel’ho fatto sentire e ho chiesto: “Allora, che ve ne pare?” E uno dei miei figli (ho due gemelli di sedici anni) mi ha detto: “Papà, il disco è bello ma mancano gli archi!”. E io ho risposto: “Sei sicuro?” perché, insomma, ero già nella fase in cui stappi lo champagne perché hai finito di registrare, senti che tutto è andato bene, ecc. (ride NDA). Ma poi ho realizzato che in effetti aveva ragione. Così ho chiamato Andrew, che per fortuna era libero, ha apprezzato le canzoni e ci ha lavorato sopra. E vedi, la cosa bella di lui è che non si limita ad arrivare con l’arrangiamento, ma contribuisce anche alla canzone in sé, proponendo melodie, immaginando soluzioni… gliel’ho detto, che in fin dei conti lui ha anche contribuito alla scrittura dei brani, ma si è schermito e mi ha detto che no, che si è solo limitato ad arrangiare gli archi… comunque sia siamo andati a registrare a Londra, in questo studio bellissimo, che è il luogo migliore dove potessimo andare. E quando ho ascoltato il risultato finale sono stato davvero grato a mio figlio!
A proposito di questo, sono curioso: come va in casa, dal punto di vista degli ascolti musicali? Riuscite ad andare d’accordo su qualcosa oppure è la solita storia per cui loro ascoltano cose diverse e schifano le tue?
In realtà la situazione è piuttosto tranquilla, a me piace informarmi e ascoltare quello che ascoltano loro e devo dire che c’è tanta musica interessante, molta della quale è suonata con le chitarre, alla vecchia maniera. So che si dice spesso che la musica con le chitarre, la “musica da band”, per così dire, sarebbe una cosa del passato, degli anni ’80, ma in realtà c’è in giro parecchia gente che la suona anche oggi. Quando ci aiutano a lavare i piatti e in generale danno una mano in casa i miei figli mettono su delle playlist e c’è davvero roba buona. Adesso poi che sono più grandi hanno realizzato che il loro padre suona in una band e sono interessati, abbiamo anche gusti musicali abbastanza simili. In generale comunque ho notato che anche oggi ci sono tanti ragazzi che suonano e che ascoltano cose classiche tipo i Radiohead.
A partire dal titolo “Luminescence”, passando per “Dear Life”, il primo singolo, alle atmosfere generali delle singole canzoni, mi sembra che questo sia un disco nel complesso più solare dei due precedenti che hai fatto: sei per caso partito da un mood positivo sulla vita?
Indubbiamente, e credo che dipenda anche dal fatto che sto invecchiando: ho compiuto 50 anni l’anno scorso ed improvvisamente mi sono ritrovato a riflettere sul tempo e a guardare le cose da un’altra prospettiva. Che cosa è davvero importante nella vita? E’ una domanda facile da fare ma non è per nulla semplice rispondere. Per cui nonostante il disco abbia un mood piuttosto malinconico (è una malinconia piuttosto soft, però) è vero quello che dici, che in fondo è un disco positivo. In queste canzoni parlo della vita, del fatto che il tempo che abbiamo vada usato nel miglior modo possibile, per realizzare cose belle. La difficoltà viene dal fatto che la vita è veloce, soprattutto questa nostra vita moderna corre davvero forte e se ti trovi a non riuscire ad avere tempo per le cose veramente importanti, per esempio stare con le persone che ami davvero, allora può essere davvero dura. Ho dunque cercato di fare questo, di vivere al meglio, di focalizzarmi su ciò che è davvero importante, perché so che da questo punto di vista posso essere la persona peggiore del mondo, quando sono assorbito dal lavoro tendo a dimenticarmi di tutto, persino della mia famiglia. Molte delle canzoni dell’album parlano della vita, dello scorrere del tempo, ma lo fanno in maniera positiva. Mi fa piacere che tu abbia colto questo aspetto: diverse persone lo hanno ascoltato e mi hanno detto: “Bruce, che disco triste che hai fatto!” (ride NDA) Invece no, è esattamente l’opposto!
E non credo sia una coincidenza che l’ultima canzone del disco s’intitoli “Find Peace”: che cosa significa per te? So che l’hai scritta a New York, sulle rive dell’Hudson…
Esatto! Infatti all’inizio si sentono i rumori del porto, è bello perché ascoltandola vengo riportato indietro al momento in cui l’ho scritta. “Here we sit day after day, looking out”, la canzone inizia così. In quel momento ero lì, seduto, a guardare verso il fiume, quasi come se fossi sedato. E mi è venuto in mente che in fondo la pace poteva essere questo: lì, tranquillo, a guardare l’orizzonte. E se davvero si riuscisse a trovare nella vita una condizione simile a quella in cui ero allora, ecco questa sarebbe la pace. Per cui ho capito che quella canzone sarebbe dovuta andare alla fine, perché quello era lo scopo che stavo cercando, quello che ho perseguito scrivendo quei pezzi.
Con l’edizione limitata ci sarà anche un intero album aggiuntivo, “Our Ships Sails at Dusk”…
Quello è perché alla fine avevo talmente tante canzoni in giro che ho chiesto all’etichetta se si potesse fare uscire un disco da accompagnare alla versione box set dell’album. Loro mi hanno detto di sì e quindi ho preferito fare così, piuttosto che tenerle da parte per un altro momento.
Prima accennavi al tuo processo creativo: è così diverso scrivere per la band, da quanto sia scrivere per te stesso?
Sì, è molto diverso. Quando scrivo per conto mio sono letteralmente solo, chiuso nel mio studio, sto tutto il giorno lì ed è davvero difficile perché non ho l’aiuto di altre persone, come quando sono con la band. Coi Pineapple Thief ci sono quattro persone differenti che si aiutano tra loro, ciascuna portando il proprio contributo. Normalmente capita che mi viene un’idea, che può essere un frammento di musica oppure qualche verso, e la mando a Gavin, lui la elabora, ci suona sopra e me la rimanda. Oppure può essere che siamo in sala e jammiamo insieme e le idee nascono da lì. Insomma, i Pineapple Thief portano le canzoni in posti dove io non riuscirei mai a portarle da solo. Le mie canzoni soliste invece viaggiano limitatamente a dove io sono in grado di farle arrivare. Non dico che un metodo sia meglio dell’altro, mi piacciono tutti e due. Forse, come ti dicevo, coi Pineapple Thief è più facile perché siamo in quattro e perché c’è Gavin che è uno dei migliori batteristi al mondo…
Parliamo del tour che partirà tra pochi giorni: cosa dobbiamo aspettarci?
Chi mi ha già visto coi Pineapple Thief rimarrà sorpreso perché sarà uno spettacolo molto diverso, e non solo perché per la maggior parte suonerò il mio repertorio solista. Sarà uno spettacolo tranquillo, molto rilassato, un po’ come essere in una stanza tra amici. Suonerò le mie canzoni e parlerò un po’ tra un pezzo e l’altro. All’inizio sarò da solo sul palco, poi mi raggiungerà Jon Sykes dei Pineapple Thief, che suonerà il basso e si occuperà delle seconde voci. Conosco Jon da quando abbiamo 18 anni, l’ho incontrato perché ho risposto ad un annuncio della sua band che cercava un chitarrista, credo fosse il 1991. E poi ci sarà una batterista, Tash Buxton-Lewis, per cui saremo un trio, in assetto da vera e propria band. In più io utilizzerò loop ed effetti vari per riempire il suono. E ad aprire avremo con noi Philipp Nespital, che ha un progetto chiamato Smalltape, veramente molto interessante. Sarà una serata bella piena, con un ricco programma e alla fine del concerto saremo lì ad incontrare chiunque voglia fare quattro chiacchiere. E’ una cosa che ci piace molto fare perché quando sei in studio sei chiuso dentro, la gente non sente quello che fai, mentre è solamente quando gli altri ti ascoltano suonare che questo lavora acquista senso. E poi sappiamo che il pubblico italiano è fantastico, per cui vi aspettiamo tutti!
Per chiudere ti faccio una domanda che è più che altro una mia curiosità: voi, i Porcupine Tree e in generale gli artisti della Kscope siete particolarmente diversi da act come Spock’s Beard, Big Big Train, Flower Kings, e altri che sono molto più influenzati dai Seventies e che seguono la lezione dei Genesis. Voi, rispetto a loro, suonate un po’ più “moderni”, per così dire, e non possedete quegli elementi che normalmente vengono associati a questo genere musicale. Eppure siete considerati parte del mondo Progressive senza particolari forzature. Come la vedi tu, questa grande varietà sonora? Ti sei fatto qualche idea in proposito?
È una domanda che, in un modo o nell’altro, mi faccio anch’io sin dagli inizi della mia carriera: che cos’è il Prog e che posto occupo io all’interno di questo mondo? Hai parlato dei Big Big Train: a breve li ospiterò nel mio studio perché sto lavorando con loro su alcune cose. Siamo amici, è tutta una grande comunità, pur se siamo molto diversi musicalmente: ci sono i Flower Kings, che effettivamente prendono più dagli anni ’70, ci sono i Dream Theater… io personalmente sono stato molto più influenzato dai Supertramp, mi sono sempre piaciute le melodie e i gruppi che puntano su questo aspetto. Mi piace molto anche Steve Hackett e un certo modo di suonare la chitarra, sono tutti elementi che ho incorporato nel mio songwriting. Come hai detto tu, è un mondo veramente molto vasto, credo ci sia posto per tutti. Purtroppo ci sono fan del Progressive che sono molto chiusi, del tipo: “Se non suonano come gli Yes non vanno bene!” ma c’è anche tanta gente, come mi pare lo sia tu, che è molto più aperta e che riesce ad apprezzare tutto lo spettro. Che è poi anche quello che fanno alla Kscope: loro firmano semplicemente le band che considerano valide e interessanti, e poi fanno fare loro quello che vogliono. Possono scrivere pezzi lunghi, pezzi corti, quello che gli gira, l’importante è che siano liberi di esprimersi. Poi nello specifico, se la mia musica sia considerata Prog o meno non mi interessa molto. Quello che voglio è fare musica che possa suonare nuova e interessante alle mie orecchie e a quelle di chi ascolta.