In ricordo di Otis Clay (1942 – 2016)
Era tra coloro che avevano attraversato i confini tra la sacred music e quella che, per costume e convenzione, sta al polo opposto. Nato a Waxhaw, in Mississippi, Clay, una volta messo piede nel figlioccio del gospel, il soul, era diventato uno che, per classe interpretativa, non si faceva guardare tanto dall’alto. Certo meno popolare dei vari Redding, Pickett, Burke, Franklin e via elencando, Otis Clay, anche in anni recenti, aveva tenuto abbastanza bene le conseguenze dello sfaldamento del soul, salvo – ma bisogna pur mangiare -, qualche tentazione disco che aveva impantanato molti altri.
Gran parte della sua infanzia nel coro della chiesa, poi le prime esperienze con gruppi vocali, a cominciare dai Morning Glory, con la madre leader. Come molti altri emigra verso nord e nella seconda metà dei ’50 arriva a Chicago, dove trova terreno favorevole per farsi le ossa in team che dal gospel allargano la loro area, tra questi i Blue Jay. Ma non si sente proprio a suo agio e rientra in un gruppo più rigorosamente religioso, i Pilgrim Harmonizers; ancora una “scappatella” nel terreno profano poi, nel ’63, si unisce ai Gospel Songbirds, seminando qualche incisione per la Nashboro.
Sta per dilagare il fenomeno soul, unitamente a r&b e blues urbano, che già stanno là come grande tentazione: dapprima lui si muove coi Sensational Nightingales e poi fa il grande salto. Nel ’67 firma per la One-derful, ottenendo il primo, solo discreto hit, con That’s How It His, poi un secondo, con A Lasting Love. L’anno dopo è la volta di She’s About A Mover (hit del ’65 del Sir Douglas Quintet), per la Cotillon (Atlantic).
Nel ’71 passa alla Hi, dove trova Willie Mitchell che gli procura il suo più importante successo con Try To Live My Life Without You, ancora una volta mettendo in mostra una voce marcatamente soul e uno stile personale. Nel ’75 fonda la sua etichetta, Echo, e va a ripescare anche i suoi vecchi compagni, i Gospel Songbirds. Certo i mezzi tecnici non possono competere con quelli di altre case e le qualità delle incisioni risulta un po’ artificiosa, ma lui mantiene sempre un livello qualitativo apprezzabile. Particolarmente amato anche in Giappone, dove ha effettuato concerti da cui ne sono uscite alcune belle registrazioni, Clay aveva di recente pubblicato un CD con Billy Price (This Time For Real) di buona fattura.
Ho avuto modo di assistere a qualche sua performance anni fa in Italia, e l’impressione era stata quella di un artista eccellente, con la signorilità e un certo distacco che lo tengono sempre un po’ distante (quanto rispettato) dall’esuberanza di altri cantanti soul e r&b. Questi sono, in breve, i segni che lascia ora che ci ha salutato, per sempre, da Chicago, il 6 febbraio. Hi Otis!