
C’è di sicuro chi se lo ricorda: nel 2012 viene dato alle stampe Life Is People, opera di un certo Bill Fay, cantautore piombato immediatamente nell’oscurità nel 1971, dopo un paio di lavori di buona fattura (l’omonimo Bill Fay del 1970 e Time Of The Last Persecution dell’anno successivo) e restato in silenzio per quattro decenni (eccezion fatta per Tomorrow Tomorrow And Tomorrow, uscito a nome Bill Fay Group nel 2005 e per l’album di home recordings del 2010 Still Some Light).
Life Is People era ed è un disco di grande spessore artistico, carico di una purezza rara, cristallina, quella di un settantenne a cui non pare neanche vero di poter semplicemente cantare ancora le proprie emozioni, aiutato da alcuni musicisti di quell’epoca andata, e supportato dall’ammirazione e dall’amorevole aiuto di Jeff Tweedy. Verrebbe da dire che questo disco in particolare non dovrebbe mancare, non dico nella propria discoteca personale, ma quanto meno all’ascolto: per gli amanti del songwriting cantautorale, quello fatto di belle canzoni e nessuna pretesa commerciale, se non quella di essere ascoltati e, perché no, di ricordare a sé stessi e al mondo come le canzoni belle siano, spesso, quelle che non abbiamo mai avuto il modo di ascoltare.
Fu un regalo. E quel disco arrivò in cima alle liste dei preferiti dell’anno per molte riviste specializzate. Bill Fay se n’è andato in silenzio, lo scorso 21 febbraio, e c’è voluto pure un po’ prima di venire a saperlo. Tutto in linea con la sua storia — passata tra le canzoni dimenticate, i lavori più disparati e umili per decenni, sino a scoprire che qualcuno gli aveva ripubblicato quei primi lavori, e gli stessi avevano trovato riscontro e ammirazione tra alcuni dei musicisti più importanti della scena artistica, quella più colta, quella che si muove tra lo stesso Jeff Tweedy dei Wilco, sino a Nick Cave e Marc Almond.
Per Bill inizia una fase totalmente inattesa di notorietà e di relativo benessere, dopo anni bui e sofferti, anni in cui non ha mai chinato la testa, la stessa testa che non si è certo persa nel momento del riscatto. Il tempo è galantuomo e ha saputo restituire a questo gentleman, a questo artista dotato di una capacità di scrittura non comune, la possibilità di essere ricordato per il suo lavoro.
E se i sessanta minuti di Life Is People, con quella voce, quel piano incantato, quelle chitarre soffuse e ispirate, quei gospel di riflessione sulla vita, amari ma anche carichi di speranza e luce, sono giustamente passati allastoria, non sono certo da dimenticare anche i due lavori successivi, Who Is The Sender (2015) e Countless Branches (2020), entrambi di ottima fattura.
Bill se n’è andato proprio mentre stava lavorando a un nuovo album, e non sappiamo a quale stadio fosse la sua lavorazione, ma ci auguriamo di sentirlo ancora, di sentire ancora le sue parole semplici, le sue melodie giocate in punta di piedi, figlie di un’ispirazione che non è da tutti, che non è regalata, che non si compra e, soprattutto, non si fa comprare, corrompere.
Bill, qui un sacco di gente non ti dimentica, e sappiamo che l’importante, alla fine, è «essere in pace con sé stessi», come cantavi tu.