
Il nuovo disco di Enrico Ruggeri staziona stabilmente sul mio lettore CD da parecchi giorni: ritengo La caverna Di Platone uno dei più significativi dischi italiani del 2025. L’album è frutto di una maturità artistica e musicale conseguita dall’artista milanese nel corso di una lunga carriera, che lo ha visto protagonista, in varie forme, negli ultimi decenni. Dico «varie forme» perché l’ingegno di Ruggeri è davvero poliedrico: rocker, cantautore, scrittore, conduttore radio (ascoltavo con interesse Il Corvo E Il Gabbiano,su Radio 24) e TV. È stato per me un vero piacere poterlo intervistare.
Ciao Enrico, grazie per aver accettato questa intervista.
Invero, voi del Buscadero mi avete trascurato, ma la tua recensione mi ha rassicurato sulle vostre intenzioni (sempre animate dal rispetto verso la buona musica!, ndr). D’altronde, anch’io vi leggo. [Di fronte alla mia sorpresa, lui sbotta:] Uno come me, che giornali può leggere?
Tu hai varie anime artistiche: quali prediligi?
Prima mi hai detto che ascoltavi la mia trasmissione su Radio 24. Vorrei solo ricordare che ho anche fatto una puntata su GG Allin (musicista punk davvero estremo, morto nel 1993 per overdose, fallendo così il suo proposito di suicidarsi sul palco, ndr) e davvero non so chi altri abbia trattato di questo artista. Perché io sono soprattutto un curioso. Amo raccontare cose agli altri: quando sono con gli amici, mi piace sempre raccontare storie che poi, con il passare del tempo, sono anche diventate canzoni. Mi piace scoprire le potenzialità della lingua italiana. Ho cominciato con le canzoni, poi sono arrivati i romanzi, la radio e la televisione, dove racconto storie non solo a sfondo musicale.
Volevo complimentarmi per la tua recente trasmissione TV, dove ho scoperto che Pierluigi Bersani è uno di noi, amante del buon rock.
Sì, la trasmissione era Gli Occhi Del Musicista e davvero sono rimasto allibito anch’io quando Bersani ha detto di amare Steve Winwood e di essere andato a Londra a vedere i Traffic. Fausto Bertinotti mi ha confessato che il suo gruppo preferito erano i Clash: niente male. Per quanto riguarda la musica, a 14 anni ho cominciato a suonare il basso con alcuni amici, in cantina. Siamo partiti dal prog. Ai tempi andava per la maggiore.
Ecco, raccontami gli inizi della tua carriera.
Le mie basi sono eterogenee. Nasco col prog e inizio a suonare, maldestramente, tirando giù i pezzi di Yes, Gentle Giant, EL&P, Genesis. Era una musica sofisticata e colta. Molto difficile da suonare: cercavo di rifare i brani di Close To The Edge o Pictures At An Exhibition, ma non ne ero capace, mi sembrava di essere impotente. Poi arrivano questi che sanno suonicchiare, come me, però hanno rabbia e convinzione: erano i Damned, oppure i Sex Pistols. Per esempio, metti su una traccia dei Pistols e capisci che è loro prima ancora di sentire il canto di Johnny Rotten. Non so perché, è un mistero. Una chitarra forse accordata, forse no; quella rullata di batteria e tu capisci, sono loro. Questo è il mio retroterra. Poi il punk è cresciuto, con Clash, Ultravox, Devo, Talking Heads. Tutti partiti dal punk. Anche Willy DeVille e i Police di Sting. Poi, l’ondata del rock decadente: Iggy Pop, David Bowie, Lou Reed. Un rock diverso, in controtendenza. Noi ragazzi l’abbracciammo subito. Allora nacquero i Decibel, coi quali cercammo di proporre questa musica totalmente extra-establishment. Tutta la mia vita musicale è partita da lì. Era il 1977. Fu un percorso accidentato e stimolante, andammo anche a Sanremo. In mezzo a grandi polemiche, tant’è che la band si sciolse. Anche se recentemente ci siamo riavvicinati, sono stati tempi turbolenti. Il mio percorso solista fu suggerito dalla casa discografica, io non l’avrei mai pensato. Pensavo di vivere e morire in una band. Era la mia estrazione. Andavi in cantina, suonavi con gli amici, saresti morto per e assieme a loro. Questo orientamento mi è rimasto addosso: io sono l’unico cantante, in Italia, che viaggia con la band, sta nello stesso albergo dei musicisti, arriva con loro, fa la vita del loro cantante. È il mio DNA: sono cose che quando vai sul palco si vedono, c’è qualcosa di diverso e si capisce.
Cosa ci racconti, invece, delle tue stagioni come autore e compositore. Ricordiamo, in questa veste, non solo una canzone bellissima come Il Mare D’Inverno, ma ben due vittorie al Festival di Sanremo.
Io, nel frattempo, avevo sviluppato un certo interesse per la composizione di testi di canzoni rock in italiano. È stata una bella sfida perché la musica rock si adatta perfettamente all’inglese, che ha quasi tutte le parole accentate sull’ultima sillaba, mentre l’italiano predilige la penultima. Pian piano, comunque, ottenni risultati apprezzabili. Il Mare D’Inverno nasce da un’intuizione: in tutte le altre arti avevano capito che il mare, in inverno, è più bello. Marcel Proust e Thomas Mann gli hanno dedicato paragrafi magnifici, e così la pittura, il cinema. Solo nella canzone Italiana il mare era «pinne, fucile ed occhiali», e basta. Fu un’intuizione, andai a turare una falla.
Il tuo ultimo disco mi sembra un studiato e costruito, direi, da un umanista dotato di empatia, affascinato dalla rilevanza della memoria. Talvolta, nei testi, mi ricorda le cose migliori di Franco Battiato.
Mi fanno piacere questi rilievi e il riferimento a Battiato. Vedi, questo disco è stato il frutto di tre anni di lavoro. In altri periodi, spesso ho inciso quasi un disco all’anno: così, La Caverna Di Platone si è di fatto trasformato in un best of dei tre dischi non registrati nel frattempo. In aggiunta, ho la fortuna di avere il mio studio e lavoro con un amico come il mio produttore e fonico Sergio Bianchi. Quando vengono i musicisti lavoriamo in assoluta libertà, tipo Bar Sport. Proviamo un pezzo, poi lo rifacciamo. Senza pressioni di sorta. Ne risulta un disco meditato.
A proposito di memoria, mi paiono significative Gli Eroi Del Cinema Muto e La Bambina Di Gorla.
Nella prima, canto dei grandi cambiamenti del nostro tempo, che hanno inevitabilmente tagliato fuori qualcuno. Mi piaceva aprire l’album con la parola «benvenuti». È una storia toccante, molto letteraria. Nel giro di poco tempo, scompaiono miti e leggende che sono finiti nel dimenticatoio, forse perché non avevano più voce in capitolo e «raccontano di amori e di sogni / perduti e lontani / una luce negli occhi / in assenza di un altro domani». Anche la canzone Cattiva Compagnia parte da una frase a effetto, «Se soffri di solitudine / probabilmente sei / in cattiva compagnia», per poi sviluppare un racconto strettamente autobiografico. Per quanto riguarda La Bambina Di Gorla (dove Ruggeri canta delle bombe americane che nel 1944 distrussero una scuola elementare, uccidendo oltre 180 bimbi, ndr), parla di mia madre, che insegnava in quella scuola. Il bombardamento avvenne nel suo giorno di riposo e lei fu risparmiata, ma morirono tutti i suoi scolari e le sue colleghe. Mi sorprendo di averci messo tanto tempo a comporla, perché mia madre ha sempre vissuto la sindrome della sopravvissuta. «Ma la notte io li penso ancora vivi / son rimasti dei bambini / negli archivi della mente».È stata una tragedia inutile, se n’è parlato poco perché contrastava con la narrazione dell’americano buono che ci viene a salvare.
Zona Di Guerra è una canzone drammatica, pacifista, schierata dalla parte dei bombardati. Di drammatica attualità.
Trae ispirazione dalla tragica situazione di Gaza e dai bombardamenti che ancora subiscono i palestinesi. Mi ha colpito il fatto che la metà degli abitanti di Gaza avesse meno di 16 anni. Mi sono venuti i brividi, è una cosa atroce; questa popolazione vede la guerra arrivare dentro le loro case, colpendo persone già disperate, spostate, buttate da una parte all’altra. È una cosa che grida vendetta. Queste persone non riescono neppure a pregare il loro dio: «Qui dio non c’è, pietà non c’è / Tra gli angeli e il fango dove dio non c’è/ Qualunque dio non c’è».
In Das Ist Mir Würst ti mostri critico verso l’Unione Europea.
Il titolo significa «non me ne importa nulla». È una riflessione sull’Europa, che è stata una delusione. Fin da piccolo mi raccontavano che in Europa saremmo stati tutti fratelli, poi si scopre trattarsi d’una congrega di affaristi, intenta a decidere cose assurde. Scopri di dover cambiare l’auto perché la tua Panda non è più compatibile con le leggi europee. Viene adottata una tecnica subdola: ti spavento e poi ti tranquillizzo. Guarda il tema del green: cambia la macchina, metti il cappotto alla casa e poi si sfiora il ridicolo con il kit di sopravvivenza e gli assurdi riarmamenti dopo aver passato una vita a parlare di pace.
Altra canzone critica verso il nostro modo di vivere è Il Problema.
Il Problema tratta di questo luogo comune da Instagram o Tik Tok, una cosa del tipo, «non è vero che i soldi non contano, meglio piangere su una Rolls Royce». Poi ti domandi come mai in Lesotho non ci siano psicanalisti mentre a New York ci vanno tutti. Se guardo alla mia vita, nella quale ho subito enormi rovesci finanziari e momenti di introiti generosi, e al contempo confronto il grafico del mio conto in banca con il grafico della mia felicità, scopro che sono totalmente divergenti. Quindi ahimè, dall’alto o dal basso, vedila come vuoi, dei miei 68 anni, segnalo nella canzone questa cosa. Ho conosciuto miliardari disperati e non trovo sia sufficiente, per essere più o meno felici, la ricchezza materiale.
Il poeta mette in evidenza come il mondo faccia di tutto per tarpare i sogni dell’uomo.
Sì, quello, ma voglio anche dire che oggi si usa la parola «divisivo» in un’accezione negativa quando per me ha un significato positivo, perché un pensiero divisivo è un pensiero non omologato, che fa riflettere. Eppure, se guardi alla storia, da Socrate costretto a bere la cicuta a tutti i morti sul rogo, da Oscar Wilde a Ezra Pound fino a Pier Paolo Pasolini (che se fosse stato più cauto sarebbe morto nel suo letto, ma è una mia idea), i liberi pensatori hanno subito di tutto, proprio perché non erano omologati.
L’ultimo tema che vorrei affrontare è quello dell’amore, che tu esprimi in due canzoni.
Nella title-track canto delle illusioni dell’amore. Quando inizia, tu ci vuoi credere fino in fondo, anche contro ogni evidenza, pur di difendere il tuo piacere di essere innamorato. In Arrivederci, Addio si evidenzia la rottura di un legame, anche parentale, che però non può cancellare i ricordi positivi. «È stata un’emozione / volata nello spazio».
Infine, quali sono i 5 dischi che porteresti sulla fatidica isola deserta?
Ti dico quelli che mi vengono in mente in questo momento. Tra un’ora sarebbero probabilmente diversi. Lou Reed, Berlin; David Bowie, Blackstar sebbene mi faccia soffrire ascoltare questo suo ultimo disco; Roxy Music, For Your Pleasure; Sparks, Kimono My House; Beatles, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.