Foto: Lino Brunetti

In Concert

Idles live a Milano, 22/11/2018

Negli ultimi giorni, sulle bacheche dei miei contatti di Facebook, si sono susseguiti una serie di post e commenti riguardanti l’ennesimo articolo sulla “presunta morte del Rock”. Il “colpevole”: Gino Castaldo, reo di aver alimentato per l’ennesima volta un dibattito da tempo stantio e privo di reale interesse. Oddio, un po’ d’interesse l’avrebbe anche potuto avere, soprattutto se l’analisi fosse stata un minimo sensata e argomentata come si deve. Invece no, si parla di classifiche, di Grammy e di artisti puramente ed unicamente mainstream che, quelli si, non hanno in larga parte proprio niente da dire.

Ora, non voglio entrare qui nel merito della questione, ma se Castaldo bazzicasse un po’ di più quello che accade davvero nel mondo della musica, ad esempio potrebbe venire a conoscenza di una band quale gli Idles, per sua sfiga proprio dalle nostre parti mentre pubblicava su Repubblica la sua disamina. Verrebbe così a conoscenza del fatto che del rock che interessa ai ragazzi d’oggi c’è eccome; soprattutto verrebbe a sapere che rock band che parlano delle cose che contano esistono ancora.

Certo, rimanere attaccati ad un’idea ormai sorpassata di rock non aiuta e quindi, boh, chissà; sta di fatto che nei testi degli Idles – i protagonisti di questo pezzo, ma non certo gli unici citabili – appaiono argomenti come Brexit, immigrazione e permessi di soggiorno e, nell’insieme, cercano di raccontare a modo loro la realtà e farlo con un linguaggio diretto e comprensibile, artisticamente rilevante (ché poi la dimensione artistica è proprio la grande assente del pezzo di Castaldo).

Con un disco nuovo fresco di stampa nei negozi, il quintetto di Bristol si è presentato in un Magnolia stipato come un uovo (serata sold out), pronto a mettere in scena il suo spettacolo fulminante. Si, perché se nelle loro parole figurano anche argomenti importanti, non mancano di esporli attraverso una musica potente ed eccitante che, va da sé, proprio dal vivo raggiunge al meglio il suo scopo. Non perdono di vista il fatto che una performance rock debba essere anche e soprattutto divertente, una valvola di sfogo allo schifo che ci sovrasta quotidianamente, un momento catartico capace di farci andare avanti come rigenerati.

Joe Talbot è un frontman stentoreo, che sa come tenere il palco solidamente. È lui l’immagine della band, con il suo talking urlato con voce rauca, con le sue presentazioni tra il serio e il faceto (nella prima categoria ci va senza dubbio la fiera dichiarazione antifascista), con le sue pose a metà tra Henry Rollins e Jason Williamson. Il resto della band è invece bravissima a far finta di stare in costante bilico sul caos, di essere sempre pronta a scivolare in dissennate esplosioni di follia, mantenendo invece un controllo assoluto su una musica che è senz’altro post-punk, ma che dal vivo ancora di più espone fieramente la propria inglesità, tra strafottenza da hooligans e ritornelli cantabili a squarciagola in un pub, alzando al cielo boccali di birra.

Un concentrato di notevolissima energia. Per oltre un’ora e mezza hanno suonato i pezzi dei loro due album dimostrando di essere una delle rock band del momento, da tutti i punti di vista e alla faccia di chi il rock lo vuole morto.

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