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Havana Moon, The Rolling Stones in Cuba

rolling-stonesHAVANA MOON – The Rolling Stones in Cuba
Regia: Paul Dugdale

Da anni abbiamo esaurito aggettivi che portino una parvenza di novità nel raffigurare artisticamente e storicamente l’immarcescibile (eccone uno…) quartetto rock, dato per scontato che da loro non si pretendono innovazioni stilistiche e compositive. E da anni, e probabilmente ancora per non sappiamo quanti altri, questi messaggeri dai volti che sembrano scolpiti nella roccia e che non nascondono la cattiveria del tempo che passa, danno la misura della vitalità del rock davanti a centinaia di migliaia di fan più o meno incalliti. Questa volta hanno anche messo mano alla potenza comunicativa della musica “il giorno dopo” la fine dell’embargo imposto a Cuba per decenni, esibendosi per la prima volta all’Avana, il 25 marzo 2016.

Paul Dugdale ha curato la regia dell’eccellente docu-film, testimonianza dell’entusiasmante esibizione della “banda dei quattro”, più musicisti e coristi vari, quali Chuck Leavell (tastiere), Tim Ries (tastiere e sax), Darryl Jones (basso e cori), Karl Benson (sax), Bernard Fowler e Sasha Allen (cori), nonché l’Havana Choir.

La panoramica sulla folla è impressionante, ma non ci meraviglia dato il momento che “celebra” quel senso di liberazione che – al di là di ogni considerazione politica, sociale ed economica – un avvenimento del genere provoca e si trascina, anche simbolicamente, nel tempo. Scorrono i primi fotogrammi, che offrono un’intervista ai quattro, allineati su rispettive sedie: una miscela di consueto e improvvisato, quanto di umorismo, risate e sorrisi, e calibrato cinismo (che vi aspettate dall’inafferrabile Keith, dal loquacissimo Mick, dall’ineffabile Charlie e dal rigoroso Ron?), ma pure la consapevolezza e l’orgoglio di esibirsi in un’occasione storica.

È questa l’emozione che di lì a poco Jagger comunicherà entrando in scena (“è la nostra prima volta…”), rivolgendosi agli spettatori anche in lingua ispanica, e innescando l’oceanico consenso della folla che li accoglie con un festoso boato: un’immagine replicata per tutti con l’aiuto di tre enormi schermi. Un braccio centrale del palco termina in uno spiazzo tondo, allungandosi verso il pubblico che lo circonda: l’intera area verrà percorsa (e “rincorsa”) soprattutto da Mick, ma anche da Keith, Wood e dalla sinuosa corista-ballerina Sasha Allen, anche in duetto col leader.

Sguardi e atteggiamenti gioiosi, carichi di energia: è Jumpin’ Jack Flash ad aprire le danze, innescando la scarica adrenalinica che si porta poi dietro la filosofia comunicativa spicciola, esplicativa di It’s Only Rock and Roll (“avviso” per chi pensasse ad altro stile/contenuto, anche se è ben altro che “solo r&r”, dato l’avvenimento, dopo anni di “reclusione” anche mediatica). Vitamine ritmiche anche da Tumblin’ Dice, mentre lo scorrere dei brani porta pure a cambi di chitarra per Wood (brevi ma eccellenti assolo) e Richards (irresistibile sornione e voce solista per l’avvolgente You Got The Silver). Un Jagger in ottima forma vocale, in più di un pezzo dà fiato all’armonica con bei risultati, mentre esibisce ripetutamente e con sicurezza il suo “status atletico”, percorrendo avanti e indietro il palco, con i suoi caratteristici, vitalissimi elementi scenici (saltella, rotea la giacchetta, accelera, mima figure di danza). Là dietro, quasi impassibile e “meccanico”, “sir Watts” cadenza il tutto con compassata scioltezza e inesorabile precisione, regalando qualche enigmatico sorriso.

Romanticos…” dice Mick quando introduce la delicata Angie, cui seguono Paint It Black (chi resiste?) e Honky Tonk Woman (ttum tcha, ttum tcha…). Tra gli unici momenti che danno respiro ritmico, la ballad Angie e, volendo, pure You Got The Silver, che si avvale della voce di Keith, il più rilassato, (auto)ironico e carismatico del manipolo. I tratti dell’intera esibizione li vede anche cambiare gli indumenti, mentre le telecamere ripassano i volti e i gesti gioiosi, alcuni anche commossi (quello di un’anziana signora). Il mid-tempo bluesato Midnight Rambler, Miss You, Gimme Shelter (ecco il sensuale duetto con la Allen, mentre viene inquadrata la luna, appena striata da nuvole), l’eccitata Start Me Up, precedono l’immancabile “inquietante suite” mascherata Sympathy For the Devil, per concludere con l’ammiccante Brown Sugar, dal significato plurivalente.

Il bis gioca un paio d’assi, con una coinvolgente You Can’t Always Get What You Want, forte del supporto simil-spiritual dell’Havana Choir, efficace nel famoso attacco, un po’ meno nella parte centrale (un ottava in più, please…), e un’ irrinunciabile (I Can’t Get No) Satisfaction: forte e rilassata nello stesso tempo, che evidenzia un moderato lifting. Molte le inquadrature che rivelano grande partecipazione, anche canora del pubblico (chi dice che, “loro là”, non li conoscevano?). I saluti finali, gli inchini, e Watts che lancia le bacchette…

Al cinema in contemporanea mondiale il 23 settembre, distribuito dalla Nexo Digital (www.nexodigital.it per l’elenco delle sale), con la collaborazione di alcuni partner. Non vale aspettare il dvd: non ce n’è come il grande schermo se non si può essere “là”, in quel momento.

PS: Grazie a Luana Solla per la preziosa collaborazione.

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