Erano passati dall’Italia soltanto pochi mesi fa i Godspeed You! Black Emperor (da Bologna), ma senz’altro benvenuta è stata questa seconda tornata estiva, qui al Magnolia alle porte di Milano e al Parco di Villa Ada a Roma. Ad attenderli c’è un pubblico come sempre molto numeroso, per certi versi addirittura sorprendente vista la loro per nulla immediata proposta musicale. Eppure i Godspeed non sono mai stati così popolari come negli ultimi anni, anni in cui hanno ripreso a suonare dal vivo dopo un pausa decennale e in cui hanno pubblicato tre dischi uno più bello dell’altro, di sicuro non inferiori ai lavori che avevano posto le basi della loro proposta.
Del resto, mai come di questi tempi c’è bisogno della musica di una formazione quale la loro, sferzante e apocalittica, eppure così profondamente umanista, da sempre politica e schierata senza far uso di (quasi) nessuna parola, ma non mancando di veicolare le proprie idee attraverso gli artwork dei dischi, le parche ma decise dichiarazioni, le immagini su pellicola che come sempre vengono proiettate durante i loro concerti, mentre loro rimangono avvolti nell’oscurità, in una forma di avversione al culto della personalità ormai emblematico.
Sono all’incirca le 21:45 quando le luci si spengono e un po’ alla volta gli otto musicisti che compongono la band salgono sul palco. Come sempre negli ultimi anni, l’apertura è affidata a Hope Drone, un bordone che monta inesorabile come una covata lavica, tramite uno stratificato vibrare di corde che tutto spazza quello che ha di fronte a sé. È il suono di tre chitarre, due bassi, due batterie e un violino che suonano all’unisono, che creano un’onda sonora che pare riempire tutti gli spazi a disposizione, quelli emotivi in primis. Alle loro spalle, sfarfallante tra flash d’immagini astratte, campeggia la scritta “Hope”, speranza, quella che bisogna saper trovare in un mondo sempre più alla deriva come il nostro.
Subito dopo, la violenza sonora di Mladic – un titolo che evoca il boia di Srebrenica, ma che al contempo è come se ci ricordasse che personaggi del genere esistono ancora, come sempre nell’indifferenza di chi non è coinvolto direttamente – esplode in tutta la sua deflagrante potenza, confermandosi uno dei loro pezzi più vividamente rock. È il ponte che conduce all’esecuzione del nuovo Luciferian Tower, suonato per intero, ma non con la stessa sequenza che ha su disco e, soprattutto, con dei cambiamenti non da poco. Se infatti magnetici, ma sostanzialmente simili alle loro versioni in studio, sono parsi pezzi quali Bosses Hang e Anthem For No State (a proposito di titoli indicativi!), assolutamente straordinarie sono state le versioni di Fam/Famine e Undoing A Luciferian Towers, rese un tutt’uno in una visionaria improvvisazione che si è dilungata in una mezz’ora abbondante di selvaggia ed estatica fusione sonora al calor bianco. In questo medley sale sul palco con la band anche un sassofonista e il suo intervento – decisamente più in primo piano di quanto non fosse su Undoing… su disco – spedisce il tutto su sentieri inediti che in futuro dovrebbero proprio cercare di sviluppare ulteriormente: al solito cataclisma epico si aggiunge infatti la virulenza graffiante del free-jazz, con gli spasmi e gli sbuffi del sax perfettamente fusi ad una musica magmatica che si sente libera di rendere plastica e vivida l’immagine di un mondo sprofondato nel caos (le immagini dietro di loro illustrano dei caccia che piovono dal cielo), un caos dal quale solo con la fatica e l’impegno quotidiano di tutti si può provare ad uscire (a questo fa pensare l’ariosa apertura melodica delle fasi conclusive).
Basterebbe questa sezione a rendere quello di stasera come uno dei più memorabili concerti dei Godspeed You! Black Emperor mai visti, non fosse che nel finale calano l’asso che tutti stende: The Sad Mafioso stava su F#A#∞, il loro disco d’esordio, ed è uno dei loro brani più belli in assoluti, uno sgocciolio di note intrise di cosmica tristezza che un po’ alla volta si coagulano in un crescendo quasi insostenibile. Qui si va anche oltre, sfociando nell’ennesimo lunghissimo drone che suggella due ore straordinarie vissute quasi in apnea. Quando sfuma l’ultima nota, le luci si accendono su un pubblico sbigottito, conscio della bellezza di ciò a cui ha assistito. Grandi, grandissimi Godspeed You! Black Emperor. Sempre!