Uscito allo scoperto negli anni 80, sull’onda del clamore suscitato da Bruce Springsteen, Graziano Romani ha saputo nel corso degli anni spezzare le catene che lo tenevano legato ad un modello quanto mai ingombrante, per crearsi uno stile suo dove il rock americano di natura stradaiola si è saldato con una massiccia dose di soul urbano e con quel modo di fare ballata elettrica che appartiene ai grandi del genere, da Tom Waits a Jackson Browne, da Tom Petty a Dylan, da Van Morrison a Dan Penn.
Graziano Romani ha una conoscenza musicale di base vastissima, conosce il soul degli anni sessanta e settanta come pochi musicisti italiani, ma non si accontenta di rimanere ancorato ai soliti noti e ai soliti titoli, va a fondo e lo si sente quando si discute con lui oppure presenta le sue canzoni in concerto, per poi meravigliare, ad esempio, quando racconta del suo amore per Brian Wilson, uno che stando alla musica che elargisce dal palco sembra stare su un’altra galassia.
Il ragazzo di Casalmaggiore ha iniziato coi Rocking Chairs, la band che poi è finita a supportare Ligabue per poi ritornare sulla vecchia strada, ha suonato con Mescaleros, Megajam 5, ha fondato i Souldrivers, ha registrato dischi solisti in inglese e in italiano, ha dedicato un progetto allo scomparso cantante Augusto Daolio, ha musicato i fumetti di Zagor, Diabolik e Tex, non si è mai fermato anche quando il vento sembrava soffiargli contro, ha lavorato duro con coerenza, passione, disciplina, ed è rimasto quel rocker verace e istintivo che il titolo del suo ultimo lavoro fotografa alla perfezione: Still Rocking.
Graziano Romani ha una concezione multipla del rock n’roll, pure nel modo in cui lo presenta, il tour ancora in corso prevede esibizioni soliste, in trio, quartetto e full band, una elasticità da paura. E appunto con la band al completo, ovvero i due “vecchi” Rocking Chairs Max Marmiroli al sax e Franco Borghi alle tastiere, più Lele Cavalli al basso, Nick Bertolani alla batteria e Follon Brown alla chitarra, che si è presentato sul palco del Black Inside, oasi resistente tra la provincia di Varese e Como per la diffusione della musica di qualità grazie all’entusiasmo di Fabio «born on the bajo» Baietti, per suggellare un tour che ha attraversato nell’ultimo anno l’Italia intera.
Locale strapieno, entusiasmo alle stelle, Graziano con la band ha dato vita ad uno show energico, appassionato, impetuoso, durato più di due ore e in grado di mettere in campo tutta la sua avventura artistica con una onestà e una padronanza della scena davvero encomiabili. La sua voce nel corso degli anni si è fatta roca e aspra e bene ha fatto nel virare questo cambiamento in un soul che è carta vetrata che sfrigola sui sensi e colora il suo rock di negritudine e di ghetti dell’anima.
Con la chitarra acustica, a volte anche con l’elettrica, veste i panni di un Bobby Womack e Bill Withers e trascina la band in quei piccoli medley dove gli viene spontaneo aggiungere una strofa di Spanish Harlem a Downtown Train di Waits o Crazy Love di Van Morrison a I Will Be There Tonight che, unita alla rocciosa Old Rocker Busted e a No Sad Goodbye, ha chiuso il concerto tra il tripudio generale.
Era iniziato con Painting Over Rust, uno dei brani che meglio definiscono la sua love story col soul dei settanta, e Freedom Rain, lascito di quella grande esperienza che sono stati i Rocking Chairs. I quali rivivono nel suo attuale show sia per le alchimie di Borghi con le tastiere e gli shout di Max «un sax nato per correre» Marmiroli, sia per i diversi titoli messi in scena, ricordo di un passato che ancora pulsa nel sangue di Romani. Da parte loro Cavalli e Bertolani hanno spinto la macchina con una ritmica implacabile, il primo uno stantuffo senza pausa, il secondo con un drumming tosto e vulcanico, mentre a Follon Brown è stato affidato il compito di fare schermaglie chitarristiche mordi e fuggi, senza mai dilungarsi in virtuosismi da «guardate come sono brano».
La ballata Land of Planty and Sin ha ingentilito l’atmosfera del club, Down The Wind ha ricordato che nel vento soffiano ancora le brutalità delle guerre, This Guy Lucifer ha aggiunto blues al ricco menù (venti pezzi in totale) e Wrote a Song For Everyone dei Creedence Clearwater Revival ha messo a cantare tutto il Black Inside. Immancabili e a gran richiesta le cover, in particolare una cruda versione di Restless Night di Springsteen, che Graziano scoprì quando il Boss in Italia era ancora un carbonaro, la già citata Downbound Train e No Reason To Cry di Tom Petty, estratta dall’album Still Rocking.
Pioggia e freddo, il 25 gennaio, mi hanno accompagnato a Lonate Ceppino sapendo purtroppo che avrei dovuto limitare le birre grazie a quel tipo che tifa Milan e certo non ama il rock n’roll, ma dentro il Black Inside l’atmosfera è stata di quelle che ti alzano il livello alcolico anche se non bevi e non si scordano tanto facilmente.