Kentish Town è nella parte settentrionale di Londra ai confini con Highgate in quello che una volta era uno dei villaggi che costituivano il corollario vitale della città, oggi inglobato dall’espansione della metropoli. Mantiene ancora l’atmosfera di un sobborgo, case basse coi mattoni rossi, la ferrovia sotto il ponte, i piccoli negozi, il pub, la vecchia e un po’ sfatta chiesa gotica, una piacevole aria di altri tempi, ci si arriva con la Northern Line della metropolitana e lì sorge il Forum Kentish Town, edificio art deco costruito nel 1934 originariamente adibito a cinema e poi riconvertito in dance hall col nome di The Town and Country Club, oggi rinominato The Forum e assorbito nella catena O2 Accademy.
La sera del 12 maggio sono in programma i Gov’t Mule, concerto sold out anche se il teatro non sarà stipato. La fila per entrare è lunga e ordinata ma alle 19 in punto le porte vengono aperte e il Forum si riempie, nel parterre e nella comoda galleria dove è possibile sedersi e beneficiare di un’ottima visibilità. Il clima è rilassato, nessuna ressa, si sta da Dio, il pubblico è abbondantemente over fifty, pochi i giovani, qualche bikers, vecchi rockers ma anche distinti signori che sembrano appena usciti dall’ufficio, prevalenza di capelli bianchi e grigi, anche le signore sono belle attempate.
Bevono gli inglesi, quanto bevono e anche qui la birra corre a fiumi nei bicchieri di plastica. Ma c’è educazione e tranquillità. Alle otto arrivano i Muli nel solito look che più casual non si può, salvo il vezzo dei berretti calzati dal batterista Matt Abts e dal tastierista Danny Louis. Iniziano duri e arcigni, il volume è alto, l’acustica non perfetta, non sempre si capiscono le parole di Haynes, sarà la stanchezza di aver camminato per Londra tutto il giorno ma penso, beh questo non sarà certo un concerto memorabile ma pazienza, i Muli hanno già dato in tal senso.
Mai previsione fu più sbagliata, mano a mano che il concerto entra nel vivo i volumi e l’acustica vengono aggiustati e sebbene l’audio nel parterre sia migliore, la condizione di stare seduto e comodo, con una visuale che mi capita raramente in concerto in Italia, è impagabile e mi permette di seguire per filo e per segno il lavoro di questi straordinari musicisti in possesso di una tecnica sopraffina. A parte Haynes di cui conosciamo la grandezza come chitarrista e cantante, è la sezione ritmica la forza della band, Matt Abts è uno dei migliori batteristi oggi in circolazione e sebbene picchi duri mostra versatilità e dinamismo da batterista jazz, Jorgen Carlsson non è un bassista ma una locomotiva, uno stantuffo possente, micidiale, instancabile. Danny Louis rifinisce con l’arte dell’alchimista, le sue tastiere occupano gli unici spazi ancora disponibili nel suono della band, mai invadente ma preciso e sostanzioso.
Con solo quattro brani i Muli arrivano a quarantacinque minuti di concerto, una macchina da guerra, in sequenza sono World Boss, Blind Man In The Dark, Steppin Lightly, Rockin’ Horse, e poi Larger Than Life ed una muscolosa Thorazine Shuffle. Il suono è potente, tosto e duro ma nell’intro di Stoop So Low c’è spazio per lo swing, gli assoli di Haynes sono devastanti. I londinesi apprezzano, scrosciano gli applausi, dopo poco più di un’ora la band si concede un break. Ritornano dopo quindici minuti e ripartono con Banks of The Deep End a dimostrazione di una vastità di repertorio impressionante, non c’è un album che prediligono, estraggono dal primo album e da Dose come da Life Before Insanity e Dejà Voodoo, da Shout! come da By A Thread, senza dimenticare i due capitoli di The Deep End.
Passano dal rock al blues, dal soul all’hard-rock, dalla psichedelia al free-jazz, dal funky al reggae con una facilità e naturalezza strabiliante, sono musicisti galattici, tra i migliori che la piazza del rock offra. Nella memorabile versione della reggata Time Of Confess Warren Haynes fa un assolo che non dimenticherò tanto facilmente e impone una decisa sterzata al concerto, non lo chiamo show perché palco e luci sono al minimo sindacale, è la musica che conta e di musica ce n’è da far girare la testa. La stanchezza mi è passata, le perplessità iniziali volatilizzate, adesso è subentrato il piacere che sfocia in emozione pura, le orecchie ballano, i sensi vanno in giuggiole, quando parte Trane capisco che sto per entrare in un tour de force delle meraviglie perché la jam sfocia prima in Eternity’s Brave della Mahavishnu Orchestra e poi in una accelerata St. Stephen dei Grateful Dead.
Non è finita, subito dopo arriva Stage Fright di The Band e dopo No Need To Suffer il Paradiso mi attende con una lunga e delirante versione di Dreams degli Allman Brothers. Non so come ci si sentisse nella Swingin’ London degli anni sessanta, ero troppo giovane per saperlo ma per me la swingin’ London è qui, adesso, con i Muli davanti che mi fanno impazzire. Il concerto finisce con una serrata e tesa Slackjaw Jezebel dove per una volta Haynes abbandona l’amata Gibson Les Paul per imbracciare una Firebird, ma non passano tre minuti che i quattro ritornino in scena con un’altra jam, la loro Fallen Down miscelata con The Other One dei Dead, musica totale, mistica e potente al tempo stesso, anima e muscoli, sfumature e pesi massimi. Un godimento assoluto.
Come a Milano nel maggio dello scorso anno Haynes aveva invitato sul palco due musicisti “locali”, nella fattispecie Fabio Treves e Fabio Drusin, qui lo fa con due londinesi accolti calorosamente dal pubblico, il sassofonista trapiantato a Londra Joe Mc Golhon nativo come Haynes della Nord Carolina ed il chitarrista ex-Whitesnake Bernie Marsden. Adesso sono in sei sul palco e i Muli diventano una torrida rhythm and blues che soffia calda e spara proiettili di benessere, con Haynes scatenato che duetta con Marsden e Danny Louis che evoca con l’organo il Memphis sound in una travolgente versione di I Feel Like Breakin’ Up Somebody’s Come di Ann Peebles, che non riconosco ma che mi fa ugualmente andare in orbita. Apoteosi ed entusiasmo generale, Haynes, umile e gentile come suo solito, ringrazia Londra dando appuntamento al prossimo concerto.
La gente è felice, si riversa all’esterno, non c’è nessun merchandising, le carrozze della Northern Line si riempiono di muleheads di ogni età e strato sociale che commentano soddisfatti l’esibizione. Ho il cuore che ride, il mio viaggio è lungo, vado a sud, dall’altra parte della città a (guns of) Brixton dove mi ospita un’amica di vecchia data, attraverso Londra con addosso la vibrazione benefica del rock. Almeno una volta all’anno i Muli bisogna vederli, ti fanno capire cosa voglia dire essere dei musicisti, dei grandi musicisti.