In Concert

Godspeed You! Black Emperor live a Bologna, 11/3/2025

«Mai come di questi tempi c’è bisogno della musica di una formazione quale la loro, sferzante e apocalittica, eppure così profondamente umanista, da sempre politica e schierata senza far uso di (quasi) nessuna parola, ma non mancando di veicolare le proprie idee attraverso gli artwork dei dischi, le parche ma decise dichiarazioni, le immagini su pellicola che come sempre vengono proiettate durante i loro concerti, mentre loro rimangono avvolti nell’oscurità, in una forma di avversione al culto della personalità ormai emblematico». Scusate l’autocitazione, ma questo scrivevo nel luglio del 2018 recensendo un concerto dei canadesi Godspeed You! Black Emperor e, sei anni e due album dopo, la cosa vale più che mai, perché quell’apocalisse incombente che la loro musica ha sempre saputo evocare, in questi tempi in cui pare di trovarsi sull’orlo di un baratro, ha ormai definitivamente preso pericolosamente corpo.

La loro musica e la loro coerenza assumono quindi, ancora una volta, una sorta di ancora di salvezza, un qualcosa a cui appigliarsi per mantenere la rotta, per sentire, anche solo attraverso la visionaria potenza del loro suono, di non essere soli, di avere anime affini sulle quali poter sempre contare. 

Non passando vicino casa, stavolta, c’era solo da decidere se la trasferta farsela verso Torino o Bologna, e, complice l’opportunità di ritrovarsi con amici per una gita anche a sfondo culinario, s’è optato per la seconda. Il concerto, anteprima del festival Ferrara Sotto Le Stelle, si svolge all’Estragon, sorta di tensostruttura/capannone posto in periferia della città. Ogni volta che ci vado è un’impresa trovare il modo d’arrivarci, visto che il navigatore ti manda sempre  a qualche ingresso dove trovi un cancello chiuso, ma al di là di questo, è una venue perfetta per vedere un concerto di questo tipo. La resa audio – quantomeno dove mi trovo io – è notevole e, non essendo piccolo, ma neppure enorme, si vede anche molto bene.

Ad aprire la serata c’è Mathieu Ball, il chitarrista dei BIG|BRAVE, altra grandissima band canadese, che sul palco si presenta solo armato della sua chitarra, con la quale dà vita a rovinosi drone distorti, in larga parte giocati sulla modulazione del feedback e su power chords che diventano ondate di rumore insinuante. Del resto, gli album che ha pubblicato come Mat Ball s’intitolano Amplified Guitar 1 e 2, e di quello si tratta. Nel brano conclusivo sale con lui sul palco Mike Moya dei Godspeed ad aggiungere una seconda chitarra e il pezzo che fanno assieme finisce con l’essere il migliore del lotto, per via di una struttura più definita e magnetica. Affascinante, ma una di quelle cose che funzionano meglio in un club minuscolo e fumoso, probabilmente.

Com’è consuetudine, i GY!BE iniziano il loro concerto con l’Hope Drone: stavolta sono Sophie Trudeau e Thierry Amar, rispettivamente a violino e contrabbasso, a salire sul palco per primi, dando vita a un cameristico intro dissonante che, con l’ingresso uno alla volta degli altri, si coagula poi in quel bordone spesso che, mentre la parola “speranza” appare sfarfallante sullo schermo alle loro spalle, progressivamente si arricchisce di aperture luminose, in contrasto con quell’era oscura dalla quale, da sempre, i Godspeed ci mettono in guardia.

La prima parte del concerto è dedicata soprattutto ai pezzi del loro ultimo, splendido album, con brani distesi e non privi di aperture melodiche come SUN IS A HOLE SUN IS VAPORS, BABYS IN A THUDERCLOUD e RAINDROPS CAST IN LEAD (più avanti suoneranno anche PALE SPECTATOR/GREY RUBBLE), brani dal tocco soprattutto elegiaco, fatti di una tristezza mai rassegnata, ma che in qualche modo il senso di disfacimento se lo sente addosso, pur provando sempre a contrastarlo.

È però nella potenza assoluta di Fire In The Static Valley o nella furia in crescendo della vecchia World Police And Friendly Fire che i Godspeed dispiegano in pieno tutta la potenza di un ensemble che prevede tre chitarre, due batterie, due bassi e un violino e in cui ogni strumentista s’intreccia perfettamente agli altri, dando corpo e anima alla più compiuta e visionaria orchestra rock si sia mai sentita.

E che, nonostante il caldo, appena partono le note di The Sad Mafioso – stava sul primo disco – subito riconosciuta dal pubblico, sulla pelle scorrano i brividi, dice tutto di una band che non ha mai sbandato dalla sua strada, senza perdere mai neppure un grammo della sua forza. Lo sgocciolante  e malinconico fraseggio di chitarra che la compone si stratifica sempre più, dando forma alla più icastica materializzazione di ciò che chiamiamo post rock. Stasera il tutto approda in un’ondata spessa e fragorosa, che continua anche mentre i musicisti abbandonano la scena con un rapido cenno di saluto e che poi, da parte di due di loro ritornati sul palco, un po’ alla volta viene smorzata fino al silenzio.

Come sempre, clamorosi! 

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