GIUSEPPE VENEZIA
I’ve Been Waiting For You
GleAM
***1/2
Pare proprio che una prospettiva importante, nella definizione del jazz italiano di oggi, sia quella del contrabbasso. Il definitivo exploit, l’anno scorso, della bravissima Federica Michisanti, è in tal senso assai indicativo. A questa categoria sembra proprio appartenere, sebbene in ambito un po’ più convenzionale, pure il quarantaduenne contrabbassista lucano Giuseppe Venezia, che ci fa dono di questo I’ve Been Waiting For You prodotto dall’attenta GleAM Records.
Venezia non è un musicista di primo pelo, ha già alle spalle vent’anni di cammino artistico nei quali è stato regolarmente richiesto e apprezzato anche e soprattutto dai musicisti statunitensi transitanti nel Vecchio Continente. E, come accennato più sopra, propone adesso un album di indiscutibile pregio, dove il suo ragguardevole talento compositivo risalta grazie a un quintetto di eccellenti musicisti come il conterraneo Attilio Troiano al sax tenore e al flauto, il pugliese Bruno Montrone al pianoforte, Pasquale Fiore (pure lui dalla Basilicata) alla batteria e, come ospite speciale in tutti i brani, Sua Trombettisticità Imperiale Fabrizio Bosso.
L’album è assai vario sia nelle strutture sia negli stili, evidenza che salta all’orecchio già dal primo pezzo: anticipato dalla stupenda introduzione del leader (Prelude To A Message) è fin troppo esplicito, sin dal titolo, il riferimento di Messaggeri, brano che riprende molto l’impatto e il nerbo dei gruppi di Art Blakey anche se il grooving di Fiore guarda più dalle parti di Elvin. Sfumatura mica da poco, visto che consente al pezzo di virare verso territori più moderni nei quali si ergono gli impetuosi assoli di Bosso, di Troiano e di un Montrone magnificamente in bilico tra McCoy Tyner e Cedar Walton.
A seguire c’è la title-track la quale, proprio a motivo della frontline che accoppia tromba e flauto, rimembra certi afrori della storica epopea West Coast e in particolar modo certe sperimentazioni esotiche dei gruppi di Chico Hamilton. Song For Gerald (con ogni probabilità dedicata a Gerald Wilson), è una bossa ammaliante dalle influenze boogaloo che fa subito venire alla mente tanto il primo Hancock quanto il Silver più groovy, col trombettista che rifà il trucco a certo growling pre-boppistico (ma con un’intenzione degna del miglior Kenny Dorham) e il tenorista che fonde sapientemente Harold Land e Joe Henderson. Davvero strabiliante!
Tra Tin Pan Alley ed Ellington è la vaporosa Just A Line From The Past, ballad con tromba e tenore capaci di riprendere e (un po’) svecchiare il sound dell’accoppiata Art Farmer-Benny Golson, e con Venezia che si prende un solo di disinvolta cantabilità bluesy. A seguire Blue Bird, che come annuncia il titolo è un be-bop scattante e sanguigno degno della triade Bird-Dizzy-Bud, col tema che trasfigura porzioni della powelliana Dance Of The Infidels e con le sortite solistiche mozzafiato. Termina l’album The Shortest Story, malinconicissima ballata che ha il sapore di certe pagine incantevoli di Chet Baker con Nicola Stilo e dove gli assoli di Bosso, di Troiano (al flauto), di Montrone e del leader sono di un livello poetico difficilmente raggiungibile.
Per concludere, ci troviamo dinanzi a un grandissimo disco italiano assolutamente degno del panorama internazionale. Come dicevamo all’inizio, upright basses rule Italian jazz!