Se in due parole si dovessero riassumere le dirompenti formule GA 20, la perfetta sintesi starebbe in “semplicità e contenuti”. Così autentici e spontanei da sorprendere. Nulla di separato tra persona e artista. Tre ragazzi che fino a poco prima di salire lì sul palco, sono a chiaccherare amabilmente con chiunque abbia opinioni da scambiare.
Matthew Stubbs, Pat Faherty e Tim Carman, in un piovoso e anomalo mercoledì di Aprile per una città abituata al sole più di trecento giorni l’anno, innescano una bomba ad orologeria, infiammando un set come satanassi divertiti e lasciando quella sensazione che, in maniera estremamente naturale, siano in grado di rendere un concerto diverso da ogni altro. Era molto tempo (troppo) che non assistevo a una performance dal vivo come quella al Loco Club, ormai una garanzia per la musica della provincia Valenciana. Ma mi è toccato andare fino in Spagna per rincorrere la band più interessante del momento.
Il Bel Paese, in questa sudata ripartenza per la musica dal vivo, non è certo quello che si prende rischi, lasciandosi sfuggire una gran serie di occasioni pavidamente assorto sul teorema degli ingressi garantiti.
Già da se’, nel solo allestimento, il set appare unicamente splendido: una strumentazione vintage dal fascino retrò di rarissima bellezza. Un hardware solido e ben fatto. La partenza è un rapido riscaldamento ad alti giri, che adopera da subito ogni senso, distribuendo accordi su gustosi assaggi di fresche e nuove idee pronte lì sul tavolo.
Stubbs e Carney in sincronia come fossero gemelli, figli di un originale blues chicagoiano saldo alle radici, ma inventori di un estremo suono che si snoda attorno a convulsioni elettriche tanto equilibrate quanto giù di gas nelle accelerazioni. I GA 20 sono il blues trio più energico e brillante del pianeta. Entusiasta e sporco quanto basta, la loro mescola di rock and roll e r’n’b è talmente organica che risulta essere efficace come un digestivo, che si dedichino a melodiche ballate anni ‘50, con una strascicata Just Because, o alle ritmiche infernali di redivivi Houserockers, che ripeschino dal luminoso Lonely Soul, o rovistino nei classici tirando in ballo Ike Turner e Buddy Guy.
Uno show incandescente, ad affondare le unghie nel poderoso groove di Hound Dog Taylor, con Let’s get funky, Give Me Back My Wig, She’s Gone, e impedendo ogni secondo l’immobilità delle persone lì davanti. Ad aggiungere esaltanti dimensioni in sala, i geniali accorgimenti scivolosi della slide di Stubbs, accompagnati nelle cavalcate dall’enorme senso ritmico dei due compagni, uniti inoltre ai godibili passaggi di un Pat Carney che ritaglia spazi in prima linea.
Blues e rock amalgamati in un eccitante insieme, tra variabili di distorsione in overdrive senza esagerare, perché le note si devono sentire! Nessuna sbavatura: una vocalità distinta e assoli tanto fragorosi quanto intelligenti, bassi chitarristici a scandire i tempi e un Tim Carman che guadagna posto fra i migliori batteristi del settore.
“Ha lo swing”, direbbe qualche d’uno, perché nel blues non è abbastanza tenere il passo come una locomotiva. Un brutale desiderio di suonare e una passione contagiosa, a distribuire vibrazioni in ognuno dei presenti, regalando un’impagabile soddisfazione in una serata che rimane troppo breve, nell’attesa che il loro fuoco possa giungere in ogni angolo d’Europa, senza che di nuovo venga circoscritto. Un blues incandescente, dedicato ad anime dannate.