FREAKWATER
Scheherazade
Bloodshot Records/IRD
***½ “
“…Il passato scorre nelle tue vene. Non puoi liberarti del tuo passato così come non puoi strapparti il cuore…”: sono parole di Don Winslow tratte da Il Cartello, un romanzo che a poche settimane dalla sua uscita è già un classico delle crime stories, ma potrebbero essere i versi di una qualsiasi delle canzoni di Scheherazade, l’ultimo album delle Freakwater, la band originaria di Louisville nel Kentucky, che è finalmente tornata a tessere le fila della propria musica, rimettendo in carreggiata una carriera in fase di stallo da 11 lunghi anni.
In verità, il passato è sempre stato poco meno di un’ossessione per Janet Beveridge Bean, l’anima delle Freakwater insieme a Catherine Ann Irwin, fin da quando alla fine degli anni ‘80 abbandonava i tamburi degli Eleventh Dream Day per dar vita ad un progetto che, oggi come allora, suona come l’anello di congiunzione tra gli spettri della Carter Family, le visioni cosmiche di Gram Parsons e l’oscurità di Bonnie “Prince” Billy.
Il debutto omonimo risale al 1989 e anticipa di un soffio le atmosfere del fenomeno alternative-country, che prospererà nel corso del decennio successivo, così come la carriera delle Freakwater, che in quel periodo pubblicano all’incirca una decina di album trovando una certa attenzione con Old Paint del ‘95 e siglando un piccolo gioiello di poesia rustica con End Time del ‘99, un successo che le porterà anche in Italia a rimorchio dei Calexico. Ma proprio nel momento in cui sembrano finalmente aver guadagnato una certa attenzione, qualcosa si inceppa e quando sei anni dopo esce Thinking of You…, passa praticamente inosservato, segnando il presunto tramonto dell’epopea alternative country e lo strapiombo delle Freakwater tra le più buie pagine dell’underground, dove se ne perdono le tracce fino al ‘13, quando la ristampa per il ventennale di Feels Like The Third Time dà vita ad una serie di concerti dal vivo che riaccendono le passioni e ristabiliscono l’interplay tra la Bean e la Irwin.
Le intenzioni per una nuova partenza prendono corpo probabilmente nel corso di quelle esibizioni e oggi Scheherazde interrompe il decennale silenzio e riprende il discorso esattamente da dove si era interrotto, inaugurando un nuovo contratto con l’intramontabile Bloodshot Records, un’etichetta magari più consona all’identità artistica della band.
Come nei passaggi più ispirati della loro discografia, gli scenari che si delineano in Scheherazade sono quelli di un’America desolata e periferica, dove si intonano canti di morte, redenzione, fatica, sesso e protesta, intrecciando country, folk, blues e perfino psichedelia con i gesti dell’old-time music e l’inquietudine del rock’n’roll. Così come agli esordi era in linea con i canoni dell’alternative country, a grandi linee, oggi la musica delle Freakwater pare in sintonia con il neotradizionalismo professato da band come Old Crow Medicine Show e da solisti come Gillian Welch, con una spiritata mescola di cori, banjo, violini e schitarrate elettriche che si colloca tra la soave melodia di Keep On The Sunny Side della Carter Family e le oscure tensioni di Splinters dei Sixteen Horsepower.
Accanto alle voci, diverse ed entrambe splendide nell’armonizzare, e alle varie chitarre di Janet e Catherine, si muove con ordine una band composta da David Wayne Gay al basso, da Morgan Geer alla chitarra elettrica, da Anna Krippenstapel al violino e da Neal Argabright alla batteria, a cui si aggiungono fra gli altri, il violino e il flauto di Warren Ellis e la pedal steel e la mandola di James Elkington. Nonostante il titolo esotico, Scheherazade è un disco di autentica Americana dal suono asciutto e affascinante, costellato di scenografici country-rock dall’aura westcoast che parrebbero sfuggiti ad un disco dei Flying Burrito Bros. come la bellissima The Asp and the Albatros e l’ariosa Velveteen Matador; da polverose cantilene appalachiane come Missionfield, l’intensa Bolshevik and Bollweevil, la delicatissima Skinny Knee Bone e la bucolica Take Me With you; da atmosferiche serenate country come l’incantevole Memory Vendor; da suggestive elegie old-time come l’evocativa What The People Want e la dolente Falls of Sleep; o da derive lisergiche come la mantrica Down Will Come Baby e l’ipnotica Ghost Song, dove rumoreggiano organi e chitarre wah wah.
“… Where have you been gone so long/ And how long will you be gone…” cantano le Freakwater, probabilmente le domande che si sono poste prima di incidere Scheherazade, il disco che inaugura in modo brillante una nuova ed entusiasmante fase della loro carriera.