FRANCESCO DE GREGORI
Amore e Furto – De Gregori canta Bob Dylan
Sony
***½
De Gregori canta Bob Dylan. Una cosa che prima o poi sarebbe dovuta succedere, così come il loro incontro nei camerini del Lucca Summer Festival della scorsa estate. Gli ultimi mesi sono stati molto intensi. Alcune cose forse fanno un po’ a pugni tra loro, come il concerto evento all’Arena di Verona con qualche ospite probabilmente fuori dal coro. Ho la sensazione che Francesco a volte si diverta a provocare per poi trovare il modo di mettere tutto a posto, come aveva fatto in passato con una canzone che diceva “sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai”. E ora lo fa con un disco intero che rivendica la propria appartenenza alla scuola dei grandi songwriter americani omaggiando il maestro assoluto Bob Dylan.
Tradurre una canzone e reinterpretarla in italiano è un’arte. Quando arrivi in fondo alla traduzione hai la sensazione che la canzone sia tua per come l’hai interiorizzata nel rispetto della metrica, del significato e della musicalità. Aspetti che alle volte è difficilissimo tutelare allo stesso modo. Mi immaginavo una grande riverenza di Francesco nell’approccio a questo progetto, cosa che in realtà avviene maggiormente nella parte musicale. Da questo punto Francesco non rischia nulla, gli arrangiamenti sono molto classici e fedeli. Del resto la sua band è affiatata e gioca sul velluto nel trovare equilibri tra chitarre, pedal steel, batterie spazzolate, organo e pianoforte.
Mi ha stupito invece un po’ il lavoro sui testi. La metrica e le rime non sempre vengono rispettate, Francesco cita se stesso e ci mette del suo, osando ed esponendosi probabilmente anche alle critiche di chi si aspettava traduzioni più rigorose. Purtroppo ho avuto l’occasione di ascoltare il disco una sola volta negli uffici di Corso Buenos Aires a Milano di Parole e Dintorni. Un disco del genere lo avrei voluto assaporare con calma con le dovute ritualità di quando noi appassionati ascoltiamo un disco che abbiamo atteso. Invece vi dovrete accontentare di una recensione impulsiva con appunti presi su un foglio di carta e lo sguardo che cerca il sole fuori dalla finestra, tra nuvole che corrono in fretta e grattacieli immobili.
Quarantacinque minuti in un pomeriggio di ottobre, di ritorno da Torino e diretto a Vicenza per i due concerti italiani di Jimmy LaFave. Un fatto abbastanza casuale ma che ha avuto sicuramente una forte influenza su quello che sto scrivendo perché alcune delle canzoni che sono qui a recensire le ho sentite la sera stessa interpretate da Jimmy LaFave, uno che Dylan lo ha sempre cantato, in ogni suo disco e concerto, a volte stravolgendo completamente la melodia. Mi ricordo di una You are a big girl now, dal disco Austin Skyline, da pelle d’oca e così lontana dall’originale. Come dicevo, Francesco per la parte musicale non ha cambiato nulla, le canzoni sono riconoscibilissime fin dai primi accordi. Me lo fa notare anche la stessa band di Jimmy LaFave la sera a cena a Vicenza dicendo che avevano visto in TV un cantante italiano con la barba cantare Sweetheart like you. L’avevano trovata bellissima e molto americana nel sound. È l’unica canzone che in questo momento in cui sto scrivendo sia già circolata, scelta come singolo e come brano di apertura del disco. E non poteva esserci miglior biglietto da visita.
Un angioletto come te è delicata e potente al tempo stesso, il sound è magico e la melodia sembra fatta apposta per essere cantata da Francesco. Dylan poi in questo brano gli serve anche un assist con quel “who ever crawled across cut glass”. A sweetheart like you è stata pubblicata da Dylan nel 1983 sul disco Infidels mentre Pezzi di vetro di De Gregori era su Rimmel, 1975 e dà la possibilità a Francesco di chiudere un bellissimo cerchio e di regalarci una nuova straordinaria ballata.
C’è un altro genere di canzoni in cui De Gregori è maestro, le canzoni “catalogo”, che raccolgono un’incalzante serie di suggestioni e di immagini, come L’Agnello di Dio o Pezzi ad esempio, e questa nuova Servire Qualcuno, adattamento di Gotta Serve Somebody, sostenuta da un groove potente, con echi gospel e riferimenti a Cohen e Knopfler.
Trovi l’articolo completo su Buscadero n. 383 / Novembre 2015.