Lo aveva detto già alcuni mesi fa, più di un anno fa, che quando avrebbe compiuto 70 anni, avrebbe smesso di suonare. O, almeno, di fare lunghe tournèes. Eric Clapton ha compiuto 70 anni a fine marzo: visto da vicino li dimostra tutti e, malgrado sia ancora un eccellente chitarrista, sembra che la sua voglia di musica stia per finire. Un segno sta anche nelle scalette, in queste date, che Eric sta facendo alla Royal Albert Hall, 7 in tutto, dopo due sold out al Madison Square Garden di New York all’inizio del mese. Eric non ha più voglia di inventare, le canzoni che segnano questa tournée sono quasi sempre le stesse ogni sera, al massimo ne cambia una, ma sono anche canzoni ultra note. E’ un bene, per chi lo vede di rado e lo vuole salutare, ma è un po’ ripetitivo per chi lo ha visto spesso e vorrebbe, se non altro, qualche piccola novità. Invece niente.
La scaletta è la stessa dello scorso anno, anche di due anni fa al massimo cambia una canzone, come è successo al sera del 20, quando io e Anna siamo andati a vedere il vecchio Manolenta nella sua casa più abituale. La Royal Albert Hall. Il teatro è strapieno, ci mancherebbe. Eric si presenta per primo sul palco, dopo che Andy Fairwather Low ci ha rotto le palle per più di mezz’ora, facendo del mediocre rock e del blues, altrettanto mediocre. Lo segue la band: Steve Gadd, batteria (visto di recente con James Taylor a Milano), Nathan East, basso, Chris Stainton, piano, Paul Carrack, organo e voce, e due coriste: Michelle John e Shar White. Una formazione classica (ma quella di due anni fa era, a mio parere, migliore).
Eric domina la scena, in senso assoluto, mentre il gruppo lo segue docile. Il suono è rock, blues rock, con alcune canzoni dal timbro molto sonoro, anche troppo (vedi I Shot The Sheriff). Apre Somebody’s Knocking (di JJ Cale): Eric ricorda sempre il vecchio amico (la serata, bis a parte, si chiude con Cocaine, più omaggio di questo…) attraverso questa ballata venata di blues, dall’andamento un po’ sofisticato. Key To The Highway, un classico del blues (scritta da Charlie Segar, ma portata nel blues, quello di Chicago, dal creativo Little Walter). Versione fluida, quella di Eric, con Chris Stainton che sfiora i tasti del piano in modo superbo. Tra i due tastieristi Stainton è quello che vale il prezzo del biglietto. Invece di Pretending, fissa nelle scalette, questa sera Eric ci regala Tell The Truth. Una buona versione per il brano di Derek and the Dominos. Poi è la volta dell’ultra classico Hoochie Coochie Man, che ha un intro degno di Muddy Waters: il piano di Stainton e le due coriste fanno il resto. Il classico, scritto da Willie Dixon e reso celebre da Muddy Waters, è uno dei più famosi standard blues di sempre. La versione di Eric è buona con alcuni momenti poco blues, ma sempre di buon livello. Paul Carrack attacca a cantare You Are So Beautiful (di Billy Preston), ed è veramente poca roba. Clapton si adatta per la pace comune. Ben diversa è la versione di Can’t Find My Way Home (di Steve Winwood) tratta dal repertorio dei Blind Faith. Canta Nathan East, ma la ballata avrebbe bisogno di una voce più tosta. Bella comunque la parte strumentale, con Eric in grande spolvero.
I Shot The Sheriff è molto carica: gran ritmo, chitarra dura e le due voci femminili che urlano il ritornello. Buona versione, ma ho sentito di meglio, anche se la lunga introduzione strumentale faceva supporre un proseguimento meno carico. Poi la band si ferma e Clapton inizia il suo set acustico. Acustico per modo di dire, in quanto ci sono tutti, Stainton a parte, a suonare. Dalla batteria al basso a Carrack. Da Driftin Blues (lanciata dai Three Balzers) alla celeberrima Nobody Knows When You’re Down and Out (l’hanno fatta in metà di mille, da Bessie Smith a Michael Bloomfield). Tears in Heaven è coinvolgente, accolta da un applauso scrosciante, mentre Layla, uno dei suoi classici assoluti, viene trattata abbastanza bene. Anche se io continuo a preferire la versione elettrica: Layla è nata per essere elettrica.Let it Rain è carica, elettrica, con le coriste quasi inferocite. Mentre Wonderful Tonight rimane quella splendida ballata di sempre, sfiorata dai riff gentili della chitarra di Manolenta. Una canzone che, malgrado l’abbia sentita sino alla nausea, non riesce mai a stancarmi. Mai. Mancava Robert Johnson ed ecco che il nostro paga il dovuto omaggio ad uno dei più grandi. Crossroads, possente, dura, magnetica, tosta e, anche meglio se vogliamo, Queen of Spades, fantastica versione di un grande brano blues. Il blues è il suo amore, Eric non lo ha mai nascosto. Queste due versioni lo testificano con forza, anche se buona parte della serata è stata dedicata alla musica del diavolo.
Cocaine, ancora JJ Cale, chiude bene la serata con una versione tosta, Eric che canta con forza mentre le due black girls ci danno dentro alla grande. Cocaine rivive attraverso una versione forte e decisa. Poi Eric saluta ed esce, seguito dalla band. Passano pochi attimi, e tutti rientrano, con in più Andy Fairweather Low. E’ la volta di High Time We Went, brano reso celebre da Joe Cocker che, da un paio di anni a questa parte, chiude le serate di Clapton. Peccato perché la canzone è appena discreta, poi è pura cantata da Paul Carrack, e questo non depone a suo favore. Meglio Chris Stainton, che ha nobilitato la serata con il suono del suo piano, le sue svisate, la sua forza creativa, passando dal boogie al blues, a momenti più lirici. E poi Stainton non pretende di cantare. Finita High Time We Went,che la gente ha comunque mostrato di gradire. Clapton ed i suoi musicisti si riuniscono in mezzo al palco. Abbraccio ed inchino. Poi si va tutti a casa.