ENTEN HITTI
Musica Humana
Lizard Records
Tentare di spiegare la musica degli Enten Hitti fa venire in mente la celebre citazione di Frank Zappa “…parlare di musica è come ballare di architettura…”, tanto è articolata, colta e profonda la ricerca sonora di questo storico ensemble dell’underground italiano. Distante anni luce da qualsiasi cosa passi comunemente in radio, ma anche da gran parte di quanto solitamente contemplato dalle cronache rock, la musica degli Enten Hitti è più un nutrimento (della mente e dell’anima ovviamente) che materia di ordinario ascolto: ha più punti in comune con un trattato di filosofia o con un saggio di etnologia che con una qualsiasi canzone, tanto che lo spazio appropriato a questi suoni rituali e trascendenti parrebbe l’interno di un museo piuttosto che una sala da concerto.
Ci fu un momento nella storia della formazione che perdura ormai dal 1995, in cui gli Enten Hitti furono sul punto di abbandonare le stanze elitarie in cui avevano cominciato a muoversi con l’esordio Giganteschi Pagliacci del Mondo Solare, per trovare probabilmente più ampi orizzonti di visibilità attraverso la realizzazione di Musica Humana, un lavoro che avrebbe dovuto uscire per il Consorzio Produttori Indipendenti di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, un’etichetta che tendeva a trattare un disco come un’opera d’arte piuttosto che come un prodotto puramente commerciale.
Purtroppo la chiusura del C.P.I. nel ’99 spedì Musica Humana in un limbo, da cui ne esce solo oggi grazie all’impegno di Loris Furlan della Lizard Records, che pubblica finalmente il lavoro ideato da Pierangelo Pandiscia (chitarre, corno, voce, percussioni, cetra), Gino Ape (oboe, voce, tastiere, arpa celtica), Giampaolo Verga (violino) e Adriana Pulejo (voce) con l’aiuto di un’ampio gruppo di musicisti e coristi. Mettendo in chiaro quali siano le prospettive del loro impegno, gli Enten Hitti si definiscono oggi “Laboratorio di Ricerca sulle Arti Performative” ed in questa direzione si muove Musica Humana, un disco in cui si intrecciano musica colta, etnica o popolare, contemporanea, avanguardia, minimalismo, danze tribali, poesia e letteratura, in un particolarissimo e affascinante caleidoscopio sonoro, che evoca a tratti l’etno-jazz di Jan Garbarek (Algeria Mon Amour), il prog africano degli Habibiyya (Tepatzi), il registro cameristico della Penguin Café Orchestra (I Miei Piedi di Luna), il respiro cosmico dei Popol Vuh (Ulan Bator) o i Soft Machine del terzo album (Edmea): tutti indizi comunque poco illuminanti per una sinfonia di voci e strumenti dai tratti misteriosi e metafisici, che pare ispirata all’esperienza più che alla storia del rock.
Non un disco per tutti e per tutti i momenti, Musica Humana ha bisogno di tempo e dedizione, ma riesce a proiettare la mente e le emozioni dell’ascoltatore ben oltre “le porte della percezione”.