ELVIS PRESLEY
The Wonder Of You w/ The Royal Philharmonic Orchestra
RCA / Legacy
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Il fatto che i dischi di Elvis Presley continuino a sbucare a un ritmo persino più sostenuto di quando il re del rock’n’roll era in vita non dovrebbe stupire, perché le dimensioni assunte dall’indotto relativo alla sua figura sono da tempo paragonabili a quelle di una piccola multinazionale. A stupire, e immalinconire un po’, è semmai la constatazione di come l’interesse per Elvis riguardi ormai soltanto l’icona e non più (da tempo) il musicista tanti anni fa intento a impossessarsi della musica dei neri accentuandone il registro animalesco e l’urgenza teppistica, inventando così uno dei capitoli più eccitanti, indimenticabili e cruciali di tutta la storia del rock.
Certo, Elvis, soprattutto dopo il servizio di leva, è stato anche un grande intrattenitore, talvolta volgare e talvolta perfettamente in parte, ma nemmeno lui sarebbe forse riuscito a digerire i remix di Junkie XL o i duetti ricreati in vitro delle ultime stagioni, e figurarsi il tremendo If I Can Dream dello scorso anno in cui quattordici canzoni del nostro venivano stravolte dagli arrangiamenti della Filarmonica di Londra. Avendo tuttavia venduto, il disco suddetto, una cosa come poco meno di due milioni di copie in tutto il mondo, ecco arrivare l’inevitabile capitolo secondo, The Wonder Of You, altri 14 brani, più un angosciante e ovviamente contraffatta collaborazione vocale con la cantante russa Helene Fischer per Just Pretend, su cui l’orchestra britannica è libera di rovesciare tonnellate di archi, ottoni, legni e percussioni fino a renderne irriconoscibile la fisionomia originaria.
Durante l’ascolto, si resta quasi allibiti nel (ri)leggere, per esempio, il nome di Tony Joe White nei crediti di scrittura di I’ve Got A Thing About You Baby, perché davvero questa apoteosi di kitsch da sala d’aspetto non ha nulla da spartire con le atmosfere del musicista della Louisiana. Pretendere fedeltà al dettato di partenza, d’altronde, sarebbe assurdo: la sepoltura orchestrale serve proprio a rendere potabili queste tracce presso chi, invece di gustare ogni tanto qualche minuto di silenzio, si trova a proprio agio con l’invasione di musica (e conseguente perdita di senso, attenzione e capacità di assimilazione) al giorno d’oggi proliferante in ascensori, ristoranti, strutture pubbliche e persino ospedali.
Il Presley di The Wonder Of You non è un musicista tradito, perché la musica è fatta di tradimenti e lui stesso diventò immortale rubando le intuizioni di Bill Haley e Bo Diddley. Eppure, in formato così ampolloso, roboante, pomposo e magniloquente, le varie A Big Hunk O’ Love (forse la più salvabile del lotto), Suspicious Minds o Always On My Mind, per non dire di un’Amazing Grace e di una Kentucky Rain con tanta saccarina da indurre all’immediato coma diabetico, diventano inutili esempi di un’indulgenza spettacolare senza più nulla da aggiungere in relazione all’iconografia tradizionale del «mito». Chi è interessato alle spettacolarizzazioni estetizzanti si faccia avanti, tutti gli altri continuino a consumare le incisioni di Elvis targate Sun e passino oltre.