Quando all’incirca nei primi Duemila Blixa Bargeld uscì dai Bad Seeds, lo fece dichiarando che nella musica di Nick Cave non c’era più spazio per la sua chitarra dissonante e per quello che era sempre stato il suo contributo nella musica del musicista australiano. È curioso però constatare che, come la musica di Cave si è da lì in poi sempre più orientata alle ballate e ai toni intimi e avvolgenti, anche buona parte dei progetti a cui ha collaborato Bargeld, non ultimi gli album più recenti dei suoi Einstürzende Neubauten, abbiano fatto a meno degli eccessi rumoristi del passato, per configurarsi attraverso una sorta di raffinatissima e sempre originale canzone d’autore mitteleuropea.
Ne è un buonissimo esempio l’ultimo album della formazione berlinese, quell’Alles In Allem uscito due anni fa e che, dopo gli usuali rinvii causa pandemia, finalmente stanno portando in tour: un disco mediamente molto quieto, privo di grossi spigoli, elegantissimo, eppure non privo di quella tensione latente che, comunque, non può mancare nella musica degli EN.
Delle quattro date previste in Italia, noi abbiamo assistito a quella di Milano, in un Alcatraz non sold out, ma sufficientemente pieno per accogliere nel più giusto dei modi la compagine tedesca. Basta un colpo d’occhio al palco per rendersi conto che la loro musica si sarà acquietata, ma la strumentazione usata è quella originalissima di sempre, con ampio uso di lamiere, tubi, bidoni, bizzarri strumenti autocostruiti usando ferraglia riciclata, persino un carrello della spesa allestito ad hoc, pare riesumato dagli spettacoli degli anni 80.
Attaccano con Wedding – non un pezzo da matrimoni, ma dedicato al quartiere di Berlino, c’informa uno scherzoso Blixa – e subito si entra nel loro mondo avviluppante. In fondo sono pezzi incredibilmente minimali i loro: dal punto di vista armonico sono spesso dettati dai giri di basso del sempre fondamentale Alexander Hacke, con la chitarra di Joachen Arbeit più che altro intenta a fornire tappeti e textures sonore (spesso la suona con l’e-bow infatti), mentre tutt’attorno si dispiegano i tessuti percussivi dalle sonorità uniche messe in campo da Rudolf Moser e da un bizzarro N.U. Unruh, il quale per tutta la performance ha tenuto su la mascherina e qui e là si è dilettato in un paio di siparietti divertenti (oltre ai membri più o meno storici c’era anche un tastierista di cui non ho afferrato il nome).
Al centro di tutto, ovviamente, la magnetica voce e presenza di Blixa, elegantissimo e nero vestito, capelli lunghi lisci a là Michael Gira e voce profonda in bilico tra crooning, semi recitato e qualche ben dosato urlo piazzato con perizia dove si doveva.
Come si accennava, buona parte della scaletta è stata occupata dai brani dell’ultimo album, cosa che ha dato un tono abbastanza uniforme alla performance. Non sono mancati comunque i ripescaggi – ma mai troppo remoti, si è arrivati al massimo a Silence Is Sexy se non sbaglio – con anche un’incursione nei territori del loro spettacolo Lament (How Did I Die?) e qualche momento in cui i volumi si sono gonfiati e il clangore dei bei vecchi tempi si è rifatto strada.
Quasi due ore di show che, senza troppi trucchi, neppure dal punto di vista delle luci, quasi sempre fisse e bianche, ha letteralmente ipnotizzato il pubblico, perché, come tutti sanno, la classe non è acqua e gli Einstürzende Neubauten ne hanno da vendere.
Personalmente ho trovato tra i momenti migliori quando hanno eseguito una lancinante Die Befindlichkeit Des Landes, la titletrack dell’ultimo album, un pezzo davvero meraviglioso, e la bella Tempelhof in uno dei due encore, ma come dicevo tutto lo show è stato molto emozionante.
Il momento più liberatorio e rumoroso nel finale, quando il tasso di distorsione e rumore s’è notevolmente alzato con una sempre divertente Let’s Do It A Dada, che al termine di una maratona piuttosto intensa e a tratti austera ha stampato un bel sorrisone sulla faccia di tutti i presenti. Ancora oggi, una grandissima band.