Foto © Rocky Schenck

Recensioni

Eels, Eels So Good: Essential Eels Vol.2

EELS 
EELS SO GOOD: ESSENTIAL EELS VOL.2
EWORKS/[PIAS]
***½ 

Non credo di dire un’eresia (e neppure una cosa troppo originale) affermando che ogni grande artista, anche il più grande, ha durante la sua carriera un periodo aureo, quello in cui pare che tutto quello che tocca diventi oro, quello in cui pone le fondamenta del suo ruolo nella storia della musica e, nei casi più importanti, quello in cui quella storia è addirittura in grado di cambiarla e d’influenzarla. Stare qui a fare degli esempi sarebbe solo un esercizio didascalico, tanto ovvia è quest’affermazione.

Mark Oliver Everett, o se preferite semplicemente E, quella fase ce l’ha avuta all’inizio della sua avventura con gli Eels, che proseguiva un tentativo di carriera solista che pochi o nessun segno evidente aveva lasciato. Dischi come Beautiful Freaks, Electro-Shock Blues o Blinking Lights And Other Revelations, per citare quelli che (minimo) dovrebbero essere nella discoteca di ognuno di voi, lo seppero invece imporre come un autore personale e originalissimo, riconoscibile a primo ascolto, straordinario nel saper tratteggiare melodie indimenticabili, con una profondità di tocco poetica che ha sempre fatto la differenza.

Quindici anni fa, Meet The EELS antologizzava tutta la prima fase di carriera della band, quella importante verrebbe da dire, non fosse questo un modo goffo di minimizzare tutto ciò che è venuto dopo, la cui colpa è stata solo quella di sorprendere meno, limitandosi il più delle volte a gironzolare attorno ai topos tratteggiati a dovere coi primi lavori. Eels So Good: Essential Eels Vol.2 è una raccolta che attinge invece dai sette dischi che vanno da Hombre Lobo del 2009 a Earth To Dora del 2020, lasciando sostanzialmente fuori solo l’ultimo Extreme Witchcraft dell’anno scorso.

Basta farsi un giretto tra queste venti tracce per verificare quanto il buon E, negli anni, di grandi canzoni ne abbia continuato a scriverne e che, forse, se a volte lo abbiamo dato per scontato, un po’ è colpa nostra e della nostra distrazione. Due pezzi per ogni album, con l’eccezione di The Deconstruction da cui ne sono estratti tre, a conferma, cosa di cui sono convinto, che quello fosse un album particolarmente brillante tra quelli di questa seconda fase di carriera.

Dentro ci troverete tutto ciò che nel tempo ha reso speciale gli Eels: i pezzi garage rock densi di groove, le ballate malinconiche accarezzate dagli archi, le melodie avvolgenti e le carole pop, il fuzz chitarristico e le deviazioni folk. Le ultime cinque tracce si concentrano su brani che non erano sugli album, proponendo la propulsiva Royal Pain che stava nella colonna sonora del terzo Shrek e la vibrante Man Up, parte invece del film Yes Man, con tre inediti a chiudere il tutto: la toccante ballata raccolta Man I Keep Trying (anche questa arriva però da un film, Prisoner’s Daughter), l’effimero strumentale electro funk Jazz Hands, Part 1 e il malinconico pezzo natalizio intriso di sixties Christmas, Why You Gotta Do Me Like This; nulla che ci faccia cambiare l’idea che abbiamo della band, ma che nondimeno fa piacere ci siano.

I loro capolavori gli Eels li hanno magari scritti nella prima fase di carriera, è vero, ma tutto ciò che è venuto dopo non è per nulla da trascurare e questa piacevolissima antologia lo dimostra appieno.

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