Foto © Rodolfo Sassano

In Concert

Editors live a Milano, 20/10/2022

A giudicare dalle volte che sono passati dall’Italia, non ci sono dubbi che tra gli inglesi Editors e il pubblico italiano ci sia un rapporto piuttosto stretto. Il sito setlist.fm segna la bellezza di ben cinquantatre concerti tra il 2005 e oggi, se non un record, comunque una presenza importante e continuativa la loro. Erano passati da Genova anche quest’estate, ma nel frattempo è uscito il loro settimo album, EBM (ovvero Electronic Body Music), e quindi rieccoli qua con un paio di nuove date, una al Fabrique di Milano, quella a cui abbiamo presenziato, la seconda a Casalecchio di Reno (BO).

Disco quantomeno discusso il nuovo EBM, che segna una decisa svolta elettronica per la formazione, con l’ingombrante produzione di Benjamin John Power (un tempo nei grandissimi Fuck Buttons, oggi conosciuto soprattutto per il suo lavoro come Blanck Mass), entrato in pianta stabile nella band e quindi anche con loro sul palco. Un disco fatto di luci e ombre, perché se da un lato mette in mostra una scrittura pop che gli permette di consegnarci una manciata di potenziali hit, dall’altro crolla sotto una produzione massimalista e, diciamocelo, anche piuttosto tamarra, coi cursori sempre al massimo, una totale assenza di sfumature, una cassa dritta uguale dall’inizio alla fine, il tutto aggravato da pezzi dalla lunghezza indubbiamente eccessiva.

L’idea che però il tutto potesse funzionare dal vivo ce l’avevo e quindi un salto al Fabrique me lo sono fatto lo stesso. Gli Editors nel nuovo disco evidentemente ci credono, e difatti lo suonano quasi per intero, sette pezzi sui nove che contiene. Ne rimangono fuori solo quella che era l’unica pausa nel martellamento continuo, la ballata Silence e una Educate forse ritenuta meno d’impatto del resto del programma, mentre fanno in effetti un’ottima figura brani che rimangono in testa e picchiano con efficacia quali Heart Attack, Kiss o Karma Climb, tra le cose migliori del nuovo disco e che paiono apprezzate e anche molto dal loro pubblico.

Tom Smith rimane un bravissimo cantante e un frontman carismatico e con tutta la band gira a mille, mostrando quel mix di carica empatica e professionalità che è lecito aspettarsi da band di questo livello. Il difetto dell’album però non manca di presentarsi anche dal vivo, dato che anche molti dei vecchi pezzi vengono quantomeno in parte rivisti secondo il “metodo Blanck Mass”, dando la stura a un suono più tastieristico e dal forte impeto ritmico, nella quale viene un po’ ridimensionato il lavoro, comunque sempre personale quando ha modo di emergere, del chitarrista Justin Lockey, così come quello del bassista Russell Leetch, le cui parti si perdono nel pulsare elettronico messo a punto da Powers e da Elliott Williams all’altra tastiera (e saltuariamente alla chitarra).

Il drumming muscolare di Edward Lay, bravo ma non granché fantasioso, si mescola ai pattern elettronici e asfalta quasi tutto ciò che si trova di fronte. Non si può negare che la cosa abbia una sua forza, ma poi se ripensi alle due ore di show, finisce che le cose che ti ricordi di più sono quelle maggiormente distanti da questo tracciato: Nothing per sola voce e chitarra acustica, capace di mettere in evidenza la voce, ma anche la buona scrittura di Smith; una All Kings per voce e synth, che abbraccia in pieno l’elettronica senza farsi fagocitare da essa; una scura e tesa No Harm, forse il momento più emozionante per chi scrive.

Al termine delle due ore di concerto si arriva quindi un filo estenuati, perché alla lunga la ripetitività degli schemi gioca la sua parte. Parlano probabilmente anche i gusti personali, perché in realtà il pubblico reagisce benissimo, specie quando vengono proposti classici del loro repertorio come Munich, All Sparks, Bones o Blood o, nel finale per certi versi pirotecnico, con una effettivamente grande Papillon. Tutte testimonianze del fatto che, al di là delle riserve, gli Editors rimangono comunque una live band che sa il fatto suo.

Prima di loro, sul palco, erano saliti i londinesi The KVB, duo formato da Nicholas Wood e da Kat Day, in giro già da una decina d’anni e con un buon numero di album alle spalle, quasi tutti usciti sulla Invada di Geoff Barrow dei Portishead. Una mezz’oretta di electro-dream-pop e shoegaze il loro, senza dubbio molto piacevole, che ha fatto venire voglia di esplorarne la discografia. Peccato solo che, mentre suonavano, in linea con la tradizione ritardataria dei milanesi, il locale era ancora mezzo vuoto.

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