Rispetto agli anni passati, il 2024 milanese, in termini di programmazione live, è partito in maniera meno scoppiettante del solito. Per un primo, grande concerto si è dovuto aspettare la fine di gennaio con lo sbarco degli Slowdive e, anche le prossime settimane, pur non lasciandoci di certo a digiuno, appaiono leggermente sotto tono. Se questo sia un segnale di una qualche crisi, al momento è decisamente prematuro dirlo.
Ad ogni modo, fa eccezione, in questo insolitamente pigro inizio d’anno, un club attivissimo come l’Arci Bellezza che, al contrario, ha in programma un sacco di cose interessanti, sia italiane che internazionali, più o meno equamente divise fra le sue due sale, quella più grossa vicino al bar e al ristorante e la più piccola nel seminterrato, quella Palestra Visconti così chiamata perché qui vi vennero girate le scene ambientate nella palestra del capolavoro di Luchino Visconti “Rocco e i suoi fratelli”.
Proprio qui sotto, le sere dell’8 e del 9 febbraio, si è assistito a due sfiziosi concerti, capaci di soddisfare le aspettative degli appassionati di cose belle rumorose. Nella prima data, infatti, erano protagonisti gli australiani Divide And Dissolve, una delle nuove band più interessanti tra quelle orbitanti in quell’aera grigia in cui s’incontrano metal e musica sperimentale, mentre nella seconda sul palco c’erano nientemeno che i Live Skull, veterani del noise rock newyorkese d’inizio anni 80, da qualche tempo tornati a nuova vita.
Ad aprire le danze, nel primo dei due appuntamenti, Nordra, solo project della musicista americana, di base a Londra, Monika Khot. A voce, chitarra, synth, electronics ed effetti, ha dato vita a canzoni divise fra nenie eteree, soundscapes dronici tra ambient e industrial, momenti di stratificazione noise, così da affrescare un sound piuttosto evocativo e a tratti conturbante, capace di spedirci in un’atmosfera onirica e lattiginosa, dai contorni sfumati e dal mood introspettivo. Non la conoscevo, interessante.
I Divide And Dissolve, il duo strumentale di Melbourne formato dalla chitarrista e sassofonista Takiaya Reed e dalla batterista Sylvie Nehill, li avevo già visti live altre volte e, devo dire, su palchi grossi come quelli dei festival in cui li avevo incrociati, non mi avevano mai colpito granché. Faccenda diversa in un contesto più raccolto e (letteralmente) underground come questo.
La Nehill, che comunque mai andava in tour e veniva sempre sostituita da qualcun altro, pare abbia ormai abbandonato il progetto. Al suo posto, qui, un rocciosissimo e potente batterista di nome Sam, se ricordo bene. Sebbene siano un gruppo unicamente strumentale, i Divide And Dissolve sono veicolo di un pensiero politico, il cui intento base è quello di decolonizzare, decentralizzare, disconfigurare e distruggere la supremazia bianca, ma che qui, stasera, nelle parole di una comunque sempre molto candida e sorridente, e pertanto disarmante, Reed, è arrivato anche a farsi denuncia di quanto sta accadendo a Gaza.
Partono con uno dei loro pezzi ambient/classicisti per solo sax, per poi farci sprofondare in un gorgo di distorsione doom – incorniciato da un drumming inesorabile e ottundente, pur nel suo ricorso a tempi catatonici – autentica sonorizzazione di un’onda tellurica che viene idealmente a spazzare secoli d’ingiustizie. Vengono naturalmente in mente band come i primi Earth o i Sunn O))), anche perché le frequenze che utilizzano trapanano viscere e cervello quasi si trattasse di un terremoto emotivo in atto nelle sinapsi. Solo una quarantina di minuti, ma di quelli da ricordare.
La sera dopo, sempre giù nella Palestra Visconti, ad aprire sono i milanesi Lasael, quartetto fresco fresco d’esordio con un EP intitolato Foghorn e pubblicato da Ramber Records, uscito proprio sul finire del 2023. Volendo sintetizzare al massimo, direi che fanno noise rock, ma nel loro sound si riscontrano venefici elementi industrial e atmosfere malsane di stampo quasi caveiano. A supportare la tesi, le westernate twanging guitars che fanno bella mostra di sé in diversi momenti del set, a fronteggiare un basso panzer perennemente distorto e il pulsare della batteria, oltre a giustificare il cappello con cui s’è presentato sul palco il cantante. Nome da appuntarsi.
Arriviamo così a quella che per me era la band più attesa di questa due giorni, ovvero i Live Skull, un po’ perché mai mi era capitato d’intercettarli prima, un po’ per la loro portata storica, molto perché il loro ritorno sulle scene dopo una lunga pausa tutto è stato tranne che un rientro in pista all’insegna della nostalgia, cosa dimostrata inoltre anche dal concerto di stasera, quasi tutto orientato al nuovo materiale.
Del resto, della formazione storica è rimasto giusto il leader, cantante, chitarrista e tastierista Mark C. e il pittoresco batterista Richard Hutchins, in realtà entrato nella band nel 1987, ma comunque un veterano. A loro, negli ultimi anni, si sono aggiunti il cantante e chitarrista Dave Hollinghurst e il bassista Kent Heine, protagonisti nell’ultimo album, Party Zero, tenuto a battesimo dalla ravennate Bronson Recordings – che più di un merito ha nella loro rentrée discografica – i quali sicuramente hanno portato nuova energia e freschezza nel loro sound.
All’epoca non altrettanto celebrati di band coeve quali Sonic Youth e Swans, delle quali hanno comunque sempre rappresentato il contraltare più rockista e melodico, a lungo i Live Skull sono stati ricordati soprattutto per il passaggio nelle loro fila di Thalia Zedek. La loro discografia, sia quella vecchia che la nuova, è invece inestimabile tesoro per gli appassionati del genere e senza dubbio merita di essere interamente riscoperta.
Con una sezione ritmica dinamica ed efficace alle spalle – puntualissimo Heine, una furia il tatuato Hutchins, intento a suonare il suo strumento in piedi – Mark e Hollinghurst hanno buon gioco nel dar vita ad affilate muraglie chitarristiche, qui e là riempite con un po’ di tastiera, così da plasmare quelle loro canzoni certamente cresciute in ambito No Wave, post punk e noise, ma sempre con in mente la lezione del classic rock e dal senso melodico mai perso di vista.
Qui iniziano con la vecchia Debbie’s Headeche, per poi tuffarsi nel repertorio più recente con pezzi come Magic Consiousness, Mad Kingship, la Neutralize The Outliers cantata da Hollinghurst e via, via tutte le altre belle canzoni, attinte dall’ultimo disco soprattutto o comunque da quelli post reunion.
Mark C. e Hollinghurst rimangono chitarristi adeguadamente selvaggi e pungenti, il secondo anche con una bella mimica rock’n’roll, rispetto al più compassato Mark. Le voci a volte rimangono un po’ affogate nel mix, ma non è un grosso problema, soprattutto quando nel finale arriva una grandiosa Machete, una delle pochissime concessioni al passato remoto assieme a Mr Evil nel bis, dopo un’efficacissima, straordinaria Tri-Power, dal memorabile riff.
Insomma, i Live Skull sono ancora una grandissima band.