È con una certa sorpresa che, quando arrivo al Magnolia di Segrate (MI), mi ritrovo il buon Tim Kinsella a salire sul palco. M’ero perso completamente l’informazione, non pensavo ci fosse un’apertura e, quindi, sulle prime, mi pare una bellissima sorpresa. Di tutta la famiglia Kinsella, lui m’è sempre parso quello più talentuoso, in qualche modo addirittura baciato dal genio, almeno per ciò che riguarda alcune delle sue diversificate avventure musicali (basterà citare Joan Of Arc o Cap’n Jazz per inquadrare il personaggio, nel caso non sappiate di chi sto parlando).
Purtroppo non si può dire sia una delle sue sortite migliori, almeno a giudicare da quello che si è sentito qui stasera, quest’avventura in coppia con Jenny Pulse, che al momento ha fruttato un album, Giddy Skelter, pubblicato da Kill Rock Stars, che non definirei brutto, ma neppure particolarmente rimarchevole nel mescolare indie rock, synth pop e canzoncine melodiche che scivolano via senza lasciare tracce. Dal vivo, il tutto appare persino più traballante, con Kinsella ad armeggiare con chitarra ed elettronica e Pulse alle tastiere, ritmiche battute da una drum machines ed entrambi alla voce. La performance scorrerebbe via tutto sommato innocua e senza strascichi, non fosse per un finale sfociante nel trash più assoluto, con un decisamente azzardato karaoke, sulle note di Under Pressure, col quale i due hanno tentato malamente di coinvolgere il pubblico, di fatto divertendosi solo loro. Vabbè, facciamo finta di nulla, non sarà questo a cancellare anni e anni di dischi eccelsi.
Grande attesa, ovviamente, c’era invece per lo show dei titolari della serata, i newyorkesi DIIV, finalmente arrivati a Milano dopo uno show cancellato nientemeno che nel 2016 – era l’epoca di Is The Is Are – e mai più recuperato, tra Covid e il tempo che ha finito col passare inesorabilmente. Due album dopo, Deceiver del 2019 e l’ultimo Frog In Boiling Water, uscito nel maggio di quest’anno, la band di Zachary Cole Smith si presenta forte del suo essere diventata una delle formazioni più amate del cosiddetto Nu Gaze, ovvero niente più che il vecchio shoegaze a uso e consumo delle nuove generazioni (ma anche delle vecchie, vista la nulla affatto secondaria presenza di over anta nel pubblico stasera). Sold out annunciato, quindi, e infatti il tendone del Magnolia risulta imballato fin quasi a scoppiare.
Il concerto inizia con un lungo video messaggio che ci informa che quello a cui stiamo per assistere non sarà un semplice show, ma un’esperienza trascendentale destinata a cambiarci per sempre. C’è una bella dose d’ironia, ovviamente, cosa che tornerà anche nei video successivi, inseriti qui e là in scaletta con l’intento di veicolare i messaggi socio-politici già presenti tra i testi dell’ultimo album, ma anche spiazzare e far pensare non poco, alternando cose più leggere (tipo quando suggeriscono che tra le ricette della felicità c’è l’andare al banchetto a fine concerto a comprare tutto quello che c’è), ad altre ben più serie, come quando si concentrano su temi come il capitalismo, la poltica estera americana, l’ambientalismo o come quando rispolverano lo slogan khomeinista “America is the Great Satan” sopra un susseguirsi d’immagini patriottiche.
Musicalmente il quartetto è parso più compatto ed efficace che mai, sia quando ha prediletto i toni ipnotici e vibranti, distorti ma non urticanti, che caratterizzano i pezzi dell’ultimo album, il quale sarà suonato quasi per intero, sia quando si fanno invece più affilati e potenti, con vette assolute come la sempre esaltante Blankenship e per una lunga Acheron divisa tra dilatazioni psichedeliche e tendenza al rumore, nonché il pezzo più stravolto rispetto alla sua versione in studio, suonate una via l’altra in chiusura di set principale, prima del ritorno con i bis con ulteriori altri tre brani, compresa la vecchia e bellissima Doused.
Per nulla nuova in senso assoluto, la musica dei DIIV riprende la vecchia ricetta di melodia e rumore, resa nuovamente significativa da un suono che riesce comunque ad esprimere una sua personalità, baciata inoltre dal fatto che Cole Smith è uno che le canzoni le sa scrivere. Bel concerto.