Due generazioni di gruppi belga a confronto, in questa bella serata estiva al Carroponte di Sesto San Giovanni. I Balthazar sono giovani, la loro discografia consta di soli tre dischi, usciti tra il 2010 e quest’anno, ma contano già un manipolo di entusiasti fan. Il loro misto di pop, indie-rock e folk è appassionante e le loro canzoni riescono ad entrare in circolo con forza, grazie ad un bel tessuto strumentale (in formazione troviamo chitarre acustiche ed elettriche, tastiere, violino, ovviamente basso e batteria) ed un piglio melodico che non lascia scampo.
Il loro disco più recente s’intitola Thin Walls e merita tutta la vostra attenzione. In parte sulle sue canzoni – ma non solo – s’è costruita l’ossatura di una quarantina di minuti di show pulsante, che ha mostrato le buone carte della band di Kortrijk anche dal vivo. Ovviamente, per quanto anche per i Balthazar c’era gente che ne conosceva a memoria le canzoni, il grosso del pubblico era però presente per i dEUS, probabilmente la più famosa rock band belga di sempre.
Sono in giro a festeggiare il loro ventennale Tom Barman e soci, venti anni che, pur con un’esistenza in parte travagliata, tra importanti defezioni e cambi di marcia, li ha visti rimanere un gruppo amatissimo. Forse il merito lo si deve soprattutto a Worst Case Scenario, uno dei più grandi successi del rock indipendente degli anni ’90, nonché un esordio che allora come oggi non è un azzardo definire un capolavoro. Non che non abbiano fatto altri bei dischi dopo – In A Bar Under The Sea, ad esempio, pur venendo dopo l’abbandono di Stef Kamil Carlens e Rudy Trouvé, rimane stupendo e quasi al pari del predecessore – però è quello l’album che è rimasto veramente nel cuore degli ascoltatori. Lo si capisce dal boato che arriva ogni volta che parte una canzone tratta da quel disco – e qui qualcuna c’è stata, da Via a Hotellounge, fino all’ovvio finale con l’attesissima Sud & Soda.
La band è solida e potente, Barman è apparso in forma, sia pur con una voce più bassa e rauca di quella che gli ricordavo. Bellissime Little Arithmetics, una Theme From The Turnpike sempre conturbante, ma anche la più recente The Architect, che scelgo a rappresentare il lato più funky e danzereccio (in senso post-punk) di alcune delle ultime cose (qui ampiamente rappresentate da numerosi altri pezzi). Che da un certo punto in poi i dEUS siano diventati praticamente un’altra band, vedendo lo show – ma pure ascoltando la recentissima antologia sulla loro carriera pubblicata non molto tempo fa – è evidente. Pur continuando a preferirne gli inizi, non posso negare che anche il seguito non sia stata una gran bella avventura. Non hanno mai pubblicato molto i dEUS, ma l’energia messa in campo qui al Carroponte ed il loro repertorio coinvolgente, ci spingono ad augurargli almeno altri vent’anni di altrettanta grande musica.