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In Concert

Daniel Blumberg live a Milano, 19/3/2019

ydf16tkQInserita all’interno della programmazione dell’interessantissimo festival di performing arts Fog (in questo caso in collaborazione con Bronson Productions) – tutte le info a questo link – la data milanese di Daniel Blumberg in trio (lui a voce, chitarra, piano e armonica, Billy Steiger al violino e Tom Wheatley al contrabbasso) si è rivelata qualcosa di diverso e, per il sottoscritto, qualcosa di più di un semplice concerto. Già in passato attivo con formazioni quali Yuk, Hebronix, Oupa, Heb-Hex, tra le molte, e chitarrista negli Howling Hex di Neil Hagerty, da qualche anno Blumberg è diventato presenza fissa in quel locale/laboratorio musicale che è il mitico Cafe Oto di Londra, dimora per musicisti radicali e splendida venue dove assistere a concerti e partecipare a workshop. È in quell’ambiente che ha conosciuto i musicisti con cui ha creato Minus, esordio a suo nome e, non solo per chi scrive, vista la sua presenza nella maggior parte delle classifiche di fine anno, uno dei dischi più belli, intensi ed emozionanti usciti nel 2018.

Ora, chi si aspettava una resa fedele di quelle canzoni sul palco potrebbe anche essere rimasto deluso da quanto eseguito in questa serata, anche se, al netto dei gusti personali, credo sia difficilmente negabile il fatto che quanto visto e sentito sia stato qualcosa di veramente speciale.

Ma partiamo dall’inizio. La sede del concerto è il Teatro dell’Arte della Triennale, in assoluto uno dei posti più belli di Milano dove poter assistere a uno spettacolo o a della musica dal vivo: in pieno centro città, servitissimo dai mezzi pubblici, dall’acustica perfetta e confortevole sotto tutti i punti di vista. Per quanto già l’album non sia faccenda proprio per tutti i gusti, la presenza di pubblico è per fortuna di quelle riservate agli appuntamenti importanti e il teatro è quasi completamente pieno. 

Con un leggero ritardo sul previsto, si spengono le luci e rimane illuminato soltanto il palco, sul quale campeggiano gli strumenti musicali: un pianoforte a coda, una chitarra elettrica senza paletta, un violino e un contrabbasso. I musicisti sembrano non voler salire, ma si sente un rumoreggiare provenire da dietro le quinte. Poi Wheatley entra in scena e con movimenti studiatissimi distribuisce per il palco alcune tazze e una bottiglia di vino. Nel frattempo gli altri due hanno recuperato un grosso pezzo di polistirolo, probabilmente un rimasuglio della scenografia di qualche vecchio spettacolo e lo portano con sé facendolo strisciare sulle assi di legno, in modo da creare un rumore che diventerà parte integrante del pezzo che Blumberg si appresta ad eseguire muovendosi tra piano e chitarra.

Da questo attacco appare chiara subito una cosa: i tre non si limiteranno a proporre le canzoni del disco, ma le faranno diventare parte integrante di una vera e propria performance artistica, in cui il teatro stesso diventerà uno strumento musicale, sfruttato attraverso la sua acustica, le sue risonanze, il calpestio dei corpi sulle sue assi e qualsiasi oggetto trovato possa servire a diventare suono, a farsi metafora, quando non carne e sangue, dello stesso malessere espresso dalle canzoni su disco, qui trasformato in qualcosa di diverso, ma non mutato in quanto a mood.

Blumberg dimostra di avere una bellissima voce, super espressiva, ancor meglio che su disco. Le canzoni di quest’ultimo si allungano e sfilacciano a dismisura, si fanno permeare dai suoni insoliti che

hWSWGUkQ vengono tirati fuori non solo dagli strumenti, suonati sia in maniera tradizionale che non, ma anche dagli sfrigolii d’oggetti, da percussioni improvvisate, dai tonfi e dai rumori messi a punto sia in scena che, in alcuni momenti, nel backstage. Non fatevi l’idea che sia stato un qualcosa di assolutamente non musicale, tutt’altro: le canzoni nella loro essenza ci sono eccome, Blumberg sia al piano che alla chitarra o all’armonica si è rivelato un ottimo strumentista e sono pronto a scommettere che lo stesso si potrebbe dire degli altri due, i quali qui hanno però avuto un ruolo molto più da performer avanguardisti che altro.

Una melodia continua a tornare come contrappunto lungo tutta la durata del concerto, a volte Blumberg urla o sbatte le mani sui tasti del piano, lascia apparire brandelli di canzone che minano la linearità dell’esecuzione, martoria una scatoletta che crea un effetto tipo mortaretti. Il climax di follia, capace però di mettere in mostra un filo d’ironia nell’atteggiamento imperscutabile e serissimo dei musicisti sul palco, arriva quando Steiger e Wheatley vi portano sopra due grossi aspirapolvere e li fanno suonare come se fossero un drone sopra il quale dispiegare la melodia del momento. Inutile andare oltre, immagino che un’idea del tutto ve la siate ormai fatta.

Da quello che ho letto, i tre, la maggior parte delle volte fanno dei concerti decisamente più tradizionali, il che rende questo gesto situazionista, tra l’altro per nulla gratuito, sia chiaro, una testimonianza non solo di genio e sregolatezza, ma anche della capacità d’improvvisare sul posto e all’ultimo momento, nonché di un coraggio che oggi, in questi tempi di musica anestetizzata che ha paura di sfidare l’ascoltatore lisciandogli solo il pelo, ha quasi del miracoloso. Serata grandiosa e, per il sottoscritto, indubbiamente un concerto che rimarrà tra quelli dell’anno fino alla fine.

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