Due delle cantautrici più chiacchierate dell’anno, giungono finalmente anche in Italia a portare dal vivo le loro canzoni. La prima è l’australiana Courtney Barnett che, con alle spalle solo due EP (raccolti in The Double EP: A Sea Of Split Peas), è già un nome di culto prima ancora di arrivare all’esordio in lungo. Il tutto con più d’una ragione! Lo scrivemmo in sede di recensione dell’album: la sua musica ed il suo approccio naif sono parsi una delle cose più fresche sentite quest’anno in ambito rock. I suoi testi sono dei piccoli racconti di vita personale. Il modo in cui i grandi classici del rock vengono rinnovati nella sua scrittura e l’energia grungey di molte sue canzoni sono giusto alcuni degli elementi che hanno portato all’innamoramento. Il fatto poi che alcuni dei suoi pezzi suonino già, letteralmente, come dei classici, la dice lunga sulla bontà della sua penna, tanto che l’attesa per il disco prossimamente in arrivo non può che dirsi spasmodica. Al contrario di quando l’avevo vista al Primavera Sound, qui al Tunnel di Milano si è presentata con un chitarrista in più e non in trio. E l’unica cosa discutibile di un concerto altrimenti ancora una volta emozionante. Il nuovo chitarrista, infatti, m’è parso essere un vero corpo estraneo nell’economia della sua musica, sia visivamente che musicalmente. Poco si legavano infatti i suoi imbellimenti ed i suoi fraseggi al suono rude e distorto delle sue canzoni, finendo solo con immettere elementi ridondanti. Poco male comunque, la potenza di brani come Avant Gardener, History Eraser o Canned Tomatoes ne è uscita ad ogni modo intatta e l’evidente piacere che Courtney prova stando sul palco è arrivata senza filtri fino al pubblico. Nella scaletta qualche brano inedito, tra cui mi piace ricordare almeno la bellissima Depreston, suonata da sola sul palco, per sola voce e chitarra. Da segnalare, inoltre, i bravi Money For Rope, sempre australiani, in apertura.
Sharon Van Etten, al contrario, ha già quattro album sulle spalle ed il suo è uno dei nomi più caldi del nuovo cantautorato femminile. La bellezza degli ultimi due dischi, Tramp e Are We There, le hanno permesso di espandere notevolmente le sue quotazioni infatti, probabilmente anche al di fuori del circuito degli appassionati. Lei non sembra essersi montata la testa ed anzi, sul palco appare ancora un po’ timida e come stupita da quello che le sta accadendo, non ultimo il fatto di trovarsi in Italia davanti ad un caloroso pubblico. Ed alla fine è proprio questa sua umanità semplice e sincera a conquistare. E pazienza se il concerto poteva essere più lungo dell’ora e venti scarsi che è durato o se non proprio un animale da palcoscenico la si può definire, in questo ancora decisamente (e per me fortunatamente) più legata all’informale atteggiamento del mondo indie, che non a quello più mainstream e professionale in cui la si vorrebbe lanciare. Chiunque sia in grado di scrivere ed interpretare con forza canzoni come il terzetto con cui ha aperto la serata (Afraid Of Nothing, Taking Chances, Tarifa) non può che avere tutta la nostra ammirazione. Tra gli altri momenti salienti della serata, l’inedita I Don’t Want To Let You Down (scartata dai dischi perché troppo allegra, ci dice), una intensa cover in solitaria della Perfect Day di Lou Reed, la magistrale e da brividi Your Love Is Killing Me ed i bis con Give Out e Serpents. In apertura, gli strumentali country, folk e blues della chitarrista Marisa Anderson.