Interviste

Colin Meloy, intervista al leader dei The Decemberists

Colin Meloy è il leader dei Decemberists, quello che scrive le canzoni, la voce solista. Quando ho intervistato la band, per il disco precedente, l’ottimo The King is Dead, ho parlato con Chris Funk. Colin non era disponibile. Questo volta ce l’ho fatta a parlare con lui. Meloy non è uno molto espansivo, però parla abbastanza.
[Intervista di Paolo Carù. Domande di Luca Salmini e Lino Brunetti]


Attendo in linea. Mi passano la telefonata. Colin è a casa sua, a Portland, ma c’è di mezzo la Rough Trade inglese che controlla e fa il monitoraggio del tempo. Ho solo venti minuti a disposizione ma poi saranno anche meno, vista l’attesa e la chiusura anticipata.

Hey Colin, sono Paolo, come stai?
Bene, e tu?

Bene, grazie. Ho un po’ di domande da farti.
OK, go ahead. Da dove chiami?

Milano, anzi Gallarate, 20 miglia fuori Milano. E tu, dove sei?
A casa, a Portland, Oregon.(si sente un rumore, una sorta di fischio molto alto)Scusa un attimo, ci sono le galline (???)…mia moglie…Ritorna la tranquillità…

Il vostro disco precedente, The King is Dead,è stato un grosso successo. Avete avuto delle pressioni mentre registravate questo nuovo album?
No, direi proprio di no. Abbiamo lavorato nella più completa libertà, senza alcuna pressione, senza una data per chiudere il lavoro. Entravamo in studio e magari stavamo qualche ora a rifare dei riff, prima di trovare la chiave giusta per iniziare una canzone. No, nessuna pressione, molta tranquillità, molta rilassatezza. Abbiamo fatto il disco in modo estremamente sciolto.

Nel corso della registrazione di questo disco avete cercato di mantenere qualche cosa che avevate già fatto nel passato, oppure avete cercato di cambiare certe cose che eravate soliti fare?
Solitamente noi consideriamo sempre una sfida il fatto di fare un nuovo disco. L’obbiettivo è quello di portarlo a termine, nel migliore dei modi. Ma, spesso, questo non è proprio facile da mettere in opera. Però non direi che ci sediamo su noi stessi ed usiamo idee già usate, casomai cerchiamo sempre di rinnovare quello che abbiamo fatto in passato. Io sono quello che scrive, che cerca di mettere assieme le canzoni, qualche volta mi rivolgo a cose che ho già fatto, ma prendo lo spunto e poi lo sviluppo sempre in modo diverso.

The King is Dead era un disco molto roots, con venature talvolta anche country, questo nuovo album è più rock, con venature pop e, solo nella parte finale, alcune ballate in classico stile roots. Cosa mi dici?
Penso che il disco sia una istantanea di cosa facciamo io e la band. Io, che scrivo le canzoni, loro, che le mettono in opera. Quindi ci sono un po’ i vari stili che hanno caratterizzato la nostra carriera, il nostro sound, il nostro modo di fare musica, di scrivere canzoni. In poche parole, questo disco è la summa degli ultimi cinque anni, di quello che abbiamo fatto, sia in studio che dal vivo.

Come mai usate sempre Tucker Martin e come produttore? Che cosa apprezzate di più nel suo lavoro?
E’ un’ottima persona e siamo diventati amici a furia di parlare assieme. Ormai lo conosco talmente bene che capisco quando le cose funzionano e quando non funzionano, quando lui sceglie un obiettivo e quando quell’obiettivo viene mancato. Non ci dice mai cosa fare, ma la sua espressione basta per capire se va tutto bene o meno. Tucker è un uomo semplice, non fa mai pesare il suo carattere ma, al tempo stesso, se non fai quello che lui ti chiede di fare, riesce a farti capire che lo devi fare.

Come mai il titolo è positivo/negativo? (ndr: What A Terrible World, What a Beautiful World)
Il titolo rispecchia quello che accade oggi nel mondo. Di bello e di brutto. La vita è magnifica ma ci sono cose orribili che abbiamo ogni giorno di fronte agli occhi.

Trovi l’articolo completo su Buscadero n. 375 / Febbraio 2015

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