
Qualcosa si muove anche dalle nostre parti, se una band come gli irlandesi Chalk, ancora neppure arrivata all’album d’esordio, riesce a conquistarsi un meritato sold out in una sala non enorme, ma neppure minuscola quale quella dell’Arci Bellezza di Milano. È sintomo di almeno due cose: da una parte dell’ottimo lavoro che Alberto Molteni, in qualità di direttore artistico del locale, già da qualche anno sta facendo, con una programmazione sempre assai varia, ma senza dubbio fortemente orientata a proposte di qualità, equamente divise fra cose più conosciute e altre che sono in qualche modo delle scommesse; dall’altro il fatto che, nonostante le apparenze a volte sembrino dire altro, esiste ancora uno zoccolo duro di appassionati che continua a seguire con attenzione ciò che d’interessante si muove nell’underground e fuori dai sentieri più battuti.
I Chalk si sono fatti notare con una serie di EP usciti nell’ultimo paio d’anni e attraverso esibizioni live infuocate, compresa quella all’Ypsigrock dell’anno scorso, show che credo non poco abbia attivato il passaparola tra chi c’era qui stasera. Sala piena dunque e pubblico anche abbastanza eterogeneo, abbastanza diviso tra quaranta/cinquantenni, ma anche un bel po’ di giovani leve.
In apertura il progetto della monzese, oggi di stanza a Bari, Roberta Russo, denominato Kyoto. Ibrido piuttosto interessante il suo, in bilico tra elettronica dark, pulsare techno e scansioni industrial da una parte e una propensione a prendere la via di una canzone dai contorni quasi pop o caratterizzati da uno spoken word, da quello che si è capito anche di profonda sostanza testuale, dall’altro. Lei e il musicista che l’accompagnava all’elettronica hanno suonato perennemente immersi nel fumo denso e in quasi totale assenza di luci, se non delle strobo sparate a palla e, sebbene credo possa funzionare di più se Roberta prendesse più spesso il centro del palco, anche così lo show ha funzionato molto bene, grazie anche ad un mood dal fascino discretamente conturbante.
Di deciso impatto la resa live degli irlandesi – sono di Belfast – con il batterista Luke Niblock a fare da ossatura e da motore portante delle loro canzoni (decisamente notevole la sua prova). Inizialmente più platealmente post punk, con i loro ultimi pezzi i Chalk si stanno muovendo verso un qualcosa di più sottilmente malsano, fortemente imbastardito con l’elettronica. Stando all’Irlanda, quelli a cui devono di più sono di certo i Gilla Band, al cui talking, solo a tratti sciolto in una qualche melodia, anche lo stile canoro del frontman e vocalist Ross Cullen rimanda. Il quale sul palco appare spesso come un tarantolato preda di convulsioni, ma, se devo essere sincero, dando la sensazione che siano più una posa che altro.
Nulla di male, ci mancherebbe, questo è entertainment, mica altro, ed è giusto così. Però ammetto che mi sarei aspettato qualcosa di ancora più devastante. A renderlo non proprio così feroce, i continui problemi tecnici patiti dal chitarrista (ma anche a sampler, tastiere ed electronics) Benedict Goddard, peggiorati dal fatto, sarà una fissa mia, dall’utilizzo della chitarra inserita direttamente in pedaliera con ampli digitale, anziché di un amplificatore come si deve, che certo avrebbe fornito una presenza sonora ben diversa rispetto a quella un po’ sfiatata e sottile che abbiamo sentito.
Comunque ci sta che al momento suonino ancora un filo acerbi, potenti e affilati sì, ma con margini di miglioramento piuttosto ampi. Le basi, però, fin d’ora si rivelano più che interessanti, cosa che fa di loro la classica band da tenere d’occhio, insomma, a ulteriore conferma del fermento musicale che, un po’ a 360°, l’Irlanda sta vivendo negli ultimi anni.