Mentre un nuovo album, Myuthafoo, previsto per giugno, si profila all’orizzonte, la compositrice e musicista elettronica Caterina Barbieri arriva in Triennale a Milano a presentare quello che invece è il suo disco precedente, Spirit Exit, uscito durante l’anno scorso. E se il nuovo viene annunciato come album gemello del celebrato Ecstatic Computation, sostanzialmente perché concepito durante le stesse session di quel lavoro, Spirit Exit si palesava quale importante turning point nella carriera della musicista, intanto perché segnava l’avvio della propria etichetta personale, light-years, poi perché si poneva quale frutto di un diverso metodo realizzativo rispetto al solito.
Messo a punto durante il lockdown, infatti, l’album è frutto di un lavoro di scrittura fatto a tavolino nel proprio appartamento e non più la risultante di sequenze provate live e fatte interagire fra loro. Con in mente eterogenee figure femminili quali Emily Dickinson, Santa Teresa d’Avila e Rosi Braidotti, prese a esempio di una tendenza verso l’Assoluto e verso una profonda dimensione spirituale, l’album si è quindi configurato come il tentativo riuscito di costruire un’opera complessa e variegata, dalle filosofiche fughe escapiste, dalle tendenze cameristiche e classiciste, con una maggiore varietà sonora, un uso della voce più marcato e un mood estatico e spirituale, il tutto chiaramente allestito senza uscire dai confini della musica elettronica.
Da sempre Caterina Barbieri ha dato una certa importanza al versante melodico della sua musica, cosa che l’ha resa un po’ più commestibile anche ai non iniziati alla musica elettronica di ricerca più radicale. E basta un colpo d’occhio al foyer del teatro per palpare con mano la popolarità da lei raggiunta. Non solo il concerto è da tempo sold out, ma, con la speranza di qualche defezione dell’ultimo secondo, si è formata una coda di diverse persone senza biglietto, non arresesi all’evidenza e intenzionate a provarci fino alla fine.
Già vista in passato in contesti festivalieri come il Primavera Sound o il Terraforma, questa sera abbiamo la fortuna di vederla in quello che si può tranquillamente considerare la location ideale per lei: un teatro dalle dimensioni contenute e dall’ottima qualità audio. Al centro del palco c’è una postazione con le sue macchine, mentre sul fondo è stato posto un telone di plastica che farà da fondale ai visuals che verranno mandati durante la performance.
Caterina si presenta sul palco con un abito che sembra preso da qualche film di fantascienza, con una sorta di appariscente esoscheletro sul braccio destro che rende la sua figura sottilmente aliena. Il teatro si riempie di tonnellate di fumo e iniza un suggestivo dialogo tra i raffinati giochi di luce e le immagini di cieli, nuovole e tramonti che si alternano alle sue spalle. Il tutto concorre a creare un mood tra l’obnubilante e il sognante che ben si lega alla musica, diventandone parte in qualche modo essenziale.
Come detto, sono i pezzi di Spirit Exit la base della performance. L’album però non viene riprodotto in maniera convenzionale, ma viene rivisitato, allungato e mutato assecondandone il nucleo di base, trasformandolo però in punto di partenza per flussi sonori ipnotici e cangianti, fatti di stratificazioni armoniche, patterns ipnotici e visionari, dilatazioni ripetitive stordenti. Innanzitutto la voce scompare quasi completamente, apparendo soltanto come elemento fantasmatico tra le volte di synth che compongono la musica.
Si nota poi che, al contrario di tanta musica elettronica, di fatto non ci sono beat, sostituiti da pulsazioni melodiche pronte a intersecarsi alle risonanze sonore e ai filamenti che si susseguono e si accavallano, creando così nello spettatore una sorta di trance ben coadiuvata dall’elemento visivo dello spettacolo, che perfettamente sopperisce all’ovvia mancanza di una band da guardare sul palco, anche se c’è da dire che nelle movenze la musicista ha un elemento teatrale che attira comunque lo sguardo.
Un’ora abbondante di performance, sfilata in un silenzio quasi irreale, mai spezzato da un applauso se non nel liberatorio scroscio conclusivo, ripagato da Barbieri con un ulteriore pezzo, slegato da quanto appena visto e infatti più ritmico e fisico, degna conclusione di una serata decisamente emozionante.