Sarò controcorrente, ma la dimensione live più autentica, per un personaggio quale Cat Power, l’ho sempre trovata quella in solitario. Mi è capitato più volte di vederla dal vivo e, devo dire, i concerti che mi sono rimasti più impressi sono proprio quelli che la vedevano senza band, quelli in cui la sua umoralità, le sue idiosincrasie, ma anche l’autenticità più profondamente umana di cui è capace, non finivano per essere imbrigliate nelle dinamiche di un concerto normale (uno dei motivi per il quale non ho mai considerato eccessivamente memorabili gli show della sua fase soul).
Nella bellissima cornice di Villa Arconati a Bollate, proprio solo accompagnata da una chitarra o da un pianoforte a coda si è presentata. Prima di lei la performance del cantautore William Fitzsimmons, sicuramente uno molto bravo a fare il suo, bella voce, canzoni buone (sia pur un po’ monocordi), forse solo un po’ troppo pulite, dal pathos un po’ artificioso. Accompagnato da una violinista/tastierista (anche alla seconda voce), Fitzsimmons, per una quarantina di minuti, ha comunque intrattenuto con classe, scherzando col pubblico circa quanto le sue canzoni possano essere deprimenti e noiose, mostrandosi comunque un autore di buon valore.
Per il sottoscritto, però, nulla a che vedere con l’intensità di una come Chan Marshall. Un po’ più in carne rispetto all’ultima sortita italiana, coi capelli lunghi a nasconderle in parte il viso, con due ipnotiche note di chitarra e con quella voce di cui solo lei è capace, in mezzo secondo ha stregato ben di più di quanto Fitzsimmons non avesse fatto in tutto il suo set. Decisamente più sul pezzo che non in passato – nessuna canzone interrotta, nessun cazzeggio, giusto qualche scusa buttato qui e là quasi senza una vera ragione e un po’ di scenette divertenti nel finale – che fossero cover (Hit The Road Jack o Can I Get A Witness, per dirne due che ho riconosciuto) o pezzi suoi (con una scelta andata dai primissimi album alle ultime cose), Cat Power ha messo in mostra i suoi blues, ha fatto fluire nella sua voce calda e unica quel tormento che in fondo l’ha sempre rosa e che ancora oggi non appare del tutto pacificato.
Non è tanto la cantante soul moderna che hanno tentato di convincerci fosse – la sua voce è anche poco adatta, volendo essere sinceri – ma la più autentica incarnatrice del blues da vent’anni a questa parte quello senz’altro si. Blues nella sua accezione più profonda, nel suo significato più ampio, nel suo andare oltre quelli che sono i confini meramente musicali. Il gradimento di un concerto del genere, credo, non può quindi che essere direttamente proporzionale al grado d’empatia nei confronti di ciò che avviene sul palco, di come quello che esce dalle casse bypassi il razionale per raggiungere direttamente l’anima. Per questo i concerti di Cat Power (uno stesso concerto di Cat Power) possono essere descritti da due persone diverse come intensi o terribilmente noiosi. Per molti versi rimane un enigma insondabile. Noi, comunque, continueremo a provare ogni volta a scioglierlo.