Foto © Lino Brunetti

In Concert

Calexico live a Milano, 15/7/2024

Deve intercorrere un feeling del tutto speciale tra Milano e i Calexico, lo si intuisce dal numero di volte in cui dal palco Joey Burns esprime affetto per la città e il suo pubblico e soprattutto dalla meraviglia di concerti come quello dello scorso 15 luglio, svoltosi nello scenario spettacolare del Castello Sforzesco, uno dei luoghi simbolo del capoluogo lombardo. L’estate è esplosa di colpo e le temperature sono prossime a quelle di Tucson nell’ampio cortile della fortezza, ma i Calexico non battono ciglio e nel tardo pomeriggio, quando il sole è ancora alto e picchia come succede nella Death Valley, sistemano le attrezzature e provano i suoni, perché la loro musica è piena di dettagli e di sfumature e nulla deve andare perduto in uno spazio circondato di pietre dove è facile che tutto si confonda senza il giusto settaggio.

Del resto i Calexico sono dei professionisti e le sinergie del collettivo sono impeccabili nel combinare rock, folk, jazz, ritmi latini, psichedelia e cinematografiche arie western in una musica scenografica e affascinante che fa venire in mente gli ampi spazi dell’Arizona e l’epica leggendaria delle terre di confine. Come scriveva lo studioso Alex Shoumatoff, “…Il Sudovest è la parte meno americana degli Stati Uniti, come osservava la guida WPA del New Mexico nel 1940, “in alcuni luoghi la vernice dell’americanizzazione è davvero sottile”. Per questo motivo la regione attira dalla moderna America anglosassone e dall’Europa persone che sono alla ricerca di ciò che gli antropologi chiamano l’Altro…” e si direbbe che i Calexico incarnino esattamente lo spirito di quella zona, visto che nella loro ormai lunga carriera sono sempre andati alla ricerca di suoni “altri”, che si tratti di musiche provenienti dal vicino Messico, dal profondo Sud America, dal centro Europa o perfino dall’Italia dove vantano tante collaborazioni e amicizie.

È appunto un personaggio vicino alla band e sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda come il chitarrista Alessandro “Asso” Stefana ad aprire il concerto, quando il solleone sta per lasciare il posto alle stelle. Stefana ha da poco pubblicato un omonimo disco solista ed è il materiale di quel lavoro che presenta in quest’occasione, sovrapponendo visionari solismi di chitarra ad arcaiche voci registrate e recuperate chissà dove, per dar vita alla colonna sonora di una “old weird America” che riesce a stregare gli spettatori più attenti o almeno quelli che non stanno ancora cercando un posto o il refrigerio di una birra.

Basta un rapido cambio di palco e i Calexico sono in scena con una formazione a sei che comprende Joey Burns al canto e alle chitarre acustiche e elettriche, John Convertino alla batteria, Martin Wenk al vibrafono, alla fisarmonica, alla tromba e alle chitarre, Jacob Valenzuela alla tromba e alle percussioni, Sergio Mendoza alle tastiere e l’ultimo arrivato Brian Lopez alla chitarra elettrica (manca un vero e proprio bassista ma a seconda delle occasioni c’è sempre qualcuno pronto ad occuparsene), che attaccano subito con la magica titletrack del loro disco più recente, El Mirador, capace di incantare il pubblico con un suono meticcio che profuma di Buena Vista Social Club.

Bastano pochi minuti e ci si sente nel bel mezzo di una festa con Burns che sfodera il solito coinvolgente entusiasmo, Convertino che batte sui tamburi con la grazia e la versatilità di un jazzista, Lopez che schitarra come fosse Marc Bolan e gli altri musicisti che si destreggiano tra vari strumenti come si trovassero in un circo, scandendo i ritmi sensuali di Cumbia del Polvo, scaricando elettricità lisergica in una torrenziale Then You Might See, danzando a tempo di valzer in un’affascinante Sunken Waltz o lasciando intravedere i bagliori di una fiesta messicana nella splendida Across The Wire.

Nel frattempo Stefana va e viene dal palco aggiungendo armonica, chitarre o lap steel alle scenografie del Calexico, che si tratti di un panoramico strumentale come Pepita, di un tributo al maestro Ennio Morricone come Man With A Harmonica o di una intensa versione di La Canzone dell’Amore Perduto di Fabrizio De André, che la brava Marta Del Grandi canta con passione e sentimento.

Non mancano i classici come la bellissima e portisheadiana Black Heart, la spagnoleggiante Quattro (World Drifts In), il lungo medley tra il pop in levare di Not Even Stevie Nicks e Love Will Tear Us Apart dei Joy Division, la splendida e desertica Minas De Cobre, la latineggiante Inspiracion interpretata da Valenzuela e il folclore messicano di Flores Y Tamales cantata invece da Lopez.

La platea è parecchio affollata e quando i Calexico salutano, rumoreggia a tal punto che la band è costretta a tornare sul palco: nel finale il pubblico si scompone e allora tutti in piedi a ballare per i ritmi bollenti di Cumbia De Donde, per una Alone Again Or dei Love che ormai è in tutto e per tutto un brano dei Calexico, per un’inedita versione di Heroes di David Bowie cantata ancora da un Brian Lopez in modalità glam e per una conclusiva Guero Canelo che evoca Cuba e fortunatamente non degenera in una chiassosa baraonda come a volte capitato in passato. Quasi due ore di concerto e come sottolinea Joey Burns, una serata indimenticabile che chi c’era ricorderà a lungo. 

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