I Calexico di Joey Burns e John Convertino sono senza dubbio una band da sempre amatissima in Italia, tanto che non hanno mai mancato di portare la loro musica sui nostri palchi, attraverso concerti sempre appassionati e molto seguiti da un pubblico fedele. La band di Tucson non ha un nuovo album da promuovere stavolta, ma si appresta a passare dalle nostre parti con una serie di concerti estivi che la vedrà esibirsi il 4 luglio al Pistoia Blues Festival, il 5 al Ravenna Festival di Russi (RA), il 15 al Castello Sforzesco di Milano e il 17 in Piazza Castello a Udine (qui tutte le info). Abbiamo contattato Joey Burns per farci raccontare del suo rapporto con l’Italia, di come sia portare in giro per il mondo la propria musica dopo tanti anni di carriera e di alcune altre cose che leggerete qui di seguito. Un grazie particolare a Sara Mehrjoei che ha favorito l’incontro e a Luca Salmini che ha dato una mano con le domande.
Joey, qui in Italia avete sempre avuto un bel po’ di fan e, infatti, molto spesso siete venuti a suonare qui da noi…
È un sogno venire in Italia ad esibirsi. Le tournée passate, negli anni, sono sempre state speciali e abbiamo avuto la fortuna di suonare in molte zone e città diverse, oltre a collaborare con artisti come Guano Padano e il magnifico Vinicio Capossela. Non vedo l’ora che arrivi il tour di luglio. Credo che sarà un’altra magica esperienza di contatto con il pubblico italiano.
Noti delle differenze nell’audience tra un paese e l’altro, chessò tra gli Stati Uniti e l’Europa?
Sì, ci sono sicuramente differenze tra il pubblico e nella cultura in generale intorno ai locali di musica live e nel modo in cui la gente vive i concerti. Spesso sembra che in Europa ci sia una maggiore connessione tra il pubblico e la nostra band, sul palco e anche di persona. Le persone qui sono calorose e amichevoli. È rinfrescante e mi sento onorato di aver vissuto un’esperienza del genere.
Consideri ciascun tour un’esperienza diversa rispetto a quello che l’ha preceduto?
Sì, soprattutto in alcuni tour del passato, quando ci siamo portati dietro il nostro supporto, abbiamo vissuto dei momenti musicali fantastici, che mi hanno lasciato bellissimi ricordi. Mi è piaciuto molto andare in tour con Depedro, Camilo Lara, Gaby Moreno, Blind Pilot, per citarne alcuni, sono stati alcuni dei miei preferiti. Per quanto riguarda le esperienze in Italia, niente è meglio di suonare con Vincio Capossela e Alessandro Stefana.
Dopo tutti questi anni, il tuo entusiasmo nell’andare in tour è rimasto immutato?
Sì, assolutamente. Vorrei che facessimo più tournée.
I vostri concerti sono di solito gioiosi e divertenti, come una sorta di festa; quanto è importante il feedback del pubblico quando siete sul palco?
Il pubblico è importante a seconda delle sedi. Quando lo scorso novembre 2023 abbiamo fatto un tour con posti a sedere, sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’entusiasmo della folla. Sono felice e onorato di avere l’opportunità di suonare di nuovo quest’estate in Europa. È un luogo paradisiaco e non vedo l’ora di riunirmi con la band e tutta la troupe.
Avete già un’idea della scaletta del vostro prossimo concerto a Milano?
Ho un’idea generale, ma al momento non ho la scaletta esatta. Passerò del tempo a pensare a quali canzoni eseguire, faremo pezzi sia dal nostro catalogo che delle cover.
Dato che El Mirador ha già due anni, suonerete qualche nuova canzone?
Suoneremo sicuramente alcune canzoni di El Mirador e alcune canzoni degli album del passato.
Non vi è mai capitato di suonare dal vivo nuove canzoni prima di registrarle, per poterle in qualche modo testare?
No, non molto spesso. Tendiamo a scrivere la musica in studio e poi a registrarla. In tournée generalmente adattiamo le canzoni e le cambiamo. È sempre emozionante vedere dove inizia e dove finisce l’arco esistenziale di ciascun pezzo.
Di solito scegliete i brani da suonare in ogni specifica serata insieme come band?
Chiedo suggerimenti, ma di solito sono io a scrivere la scaletta. Mi informo anche con il nostro fonico di sala e con il tecnico delle luci in Europa per vedere come suonano e come si sentono le cose. Soprattutto, cerco di chiacchierare con il pubblico dopo gli spettacoli per vedere cosa piace e cosa suggeriscono.
Prima accennavi alle cover e negli anni avete suonato canzoni di Love, R.E.M., Smiths e Joy Division durante i vostri concerti; come scegliete le cover da suonare con un trattamento alla Calexico?
Beh, mi pare evidente che ci piace scegliere canzoni degli anni ’80. [ride] Apprezzo molto che ci venga chiesto di coverizzare canzoni, che poi trasformiamo attraverso il nostro arrangiamento e col nostro modo di sentire. Tra le mie preferite ci sono la cover di Wave del grande Alejandro Escovedo e di Frank’s Tavern di Chris Gaffney.
Sembra che ultimamente le band piccole e anche quelle medie abbiano difficoltà a sostenere gli alti costi dell’andare in tour; qual è la vostra esperienza?
La pandemia ha rappresentato una sfida per molte attività, tra cui il settore musicale, i locali, i tecnici, gli agenti, il pubblico, etc. Anche noi abbiamo avuto le nostre difficoltà, ma siamo riusciti a trovare un modo per andare avanti. A volte non guadagniamo granché con i tour, ma investiamo per andare in certi paesi perché l’esperienza di entrare in contatto con un pubblico che non ha la possibilità di vederci molto spesso è davvero importante per noi.
Ma se i dischi non si vendono e le tournée non pagano, pensi che in un futuro prossimo solo i ricchi faranno musica?
No. La musica sarà sempre della gente comune e per tutti. Fa parte della nostra esperienza umana. Spero che la musica e l’umanità continuino nel modo più positivo possibile.
Pensi che i Calexico possano aver influenzato altre band come il trio italiano Guano Padano formato dal chitarrista di Vinicio Capossela, Alessandro Stefana, o come il duo di origine sudamericana Hermanos Gutierrez?
Penso che ci siano molti temi universali e sono felice di ascoltare la musica dei Guano Padano e degli Hermanos Gutierrez. Sono tutti amici e io sono molto ispirato da entrambe le band.
Siete stati impegnati in molte collaborazioni nel corso degli anni; consideri l’andare in tour come un’occasione per incontrare altri artisti e per aprire delle porte?
Sì, questo è uno dei motivi per cui amo andare in tour. Sono sempre pronto a collaborare.
C’è qualche artista che senti particolarmente vicino ultimamente o qualcuno con cui vorresti lavorare?
C’è così tanta musica là fuori e così tanti nuovi artisti e artisti affermati che fanno cose incredibili. Mi piacciono Allison Russell, Amythist Kiah, Gaby Moreno, Hermanos Gutierrez, La Lom, Black Pumas, Jason Isbell, JD McPherson, Pieta Brown, Son Rompe Pera e altri ancora. Mi piacerebbe lavorare di nuovo con Camilo Lara e Gaby Moreno. Sono incredibili.
Se dovessi suggerire a un ascoltatore che non conosce la musica dei Calexico uno dei vostri dischi per iniziare, quale suggeriresti e perché?
Suggerirei gli album Algiers, Carried to Dust e El Mirador. Ognuno di essi ha il proprio carattere e la propria atmosfera. Un altro da suggerire potrebbe essere l’EP Convict Pool.
Allo stesso modo, qual è il disco di cui sei più orgoglioso e ce n’è uno in cui fatichi a riconoscerti o di cui cambieresti qualcosa?
Sono orgoglioso di tutti gli album che abbiamo fatto e anche del modo in cui sono stati realizzati, in particolare di Feast of Wire, che abbiamo recentemente suonato per intero durante il tour. Forse continueremo ad aggiungere alcune di queste canzoni anche alle prossime scalette. Realizzare l’album Garden Ruin è stato per noi un salto sperimentale e sono contento di averlo fatto. Mi è piaciuto molto lavorare con JD Foster e Andy Taub. I suoni che hanno ottenuto sono stati incredibili. Sono cresciuto come fan del rock e del pop degli anni ’60, e quell’album riflette più di altri nostri lavori quell’amore.
C’è una certa differenza tra il suono dei vostri primi dischi, che erano più cinematografici e “astratti”, e quelli successivi, più “pop”. Avete mai pensato di tornare a un suono più sperimentale o di mescolare in maniera più profonda i due approcci?
Nel corso degli anni ci siamo divertiti a sperimentare vari metodi di registrazione e credo che questo abbia contribuito alla differenza di suono degli album nel corso degli anni. L’analogico ha un certo fascino, sia nel processo che nelle sensazioni che crea. Mi piacerebbe molto fare una registrazione analogica su nastro, con meno tracce sovraincise, per creare qualcosa di grezzo.
Sono un grande fan dei Giant Sand e, in particolare, del periodo in cui c’eravate voi a suonare con Howe Gelb. Quanto è stata importante quell’esperienza per te e cosa ricordi di quei giorni?
È stato molto divertente, ricordo spettacoli bellissimi e soprattutto i viaggi in treno in giro per tutta Europa. Sono stati giorni divertenti e felici.
Avete in ballo qualche nuovo progetto?
John, Martin e io lavoreremo insieme alla scrittura e all’esecuzione delle musiche per una produzione di “Camino Real” di Tennessee Williams, che si terrà a Vienna quest’inverno, al VolksTheater, con la regista Anna Sophie Mahler. Saremo in scena come parte del cast e dell’ensemble. Credo sarà molto divertente. Dopodiché lavoreremo a un nuovo album dei Calexico e vedremo quali nuove collaborazioni riusciremo a creare.