“Quello che è successo ieri per me è stato un terribile shock, visto che mi sono sempre sentito fortemente europeo. La bellezza insita nelle differenze culturali, nello scambio arricchente che può avvenire attraverso l’incontro tra persone di diversi paesi, credo sia un valore assoluto. Pare però che il 52% dei miei concittadini non la pensi come me”. Inizia parlando di Brexit Brian Eno, in un incontro con la stampa nella Sala Polivalente di Palazzo Te a Mantova, città nella quale si trova per l’inaugurazione di due sue installazioni, alla loro prima italiana: la monumentale opera 77 Million Paintings e la versione in 3D del suo ultimo album The Ship (entrambe visitabili nella città dei Gonzaga fino al 2 luglio), oltre che per ritirare un premio cittadino, l’Arlecchino d’Oro.
Informale, sorridente, molto alla mano, Eno paragona l’uscita della Gran Bretagna dall’UE ad un vero disastro, alla fuga di casa di dei ragazzini capricciosi, impossibilitati a farvi ritorno dopo aver realizzato ciò che hanno fatto, ad una resa nei confronti del populismo menzognero dei partiti di destra. S’interroga sul perché questa cosa sia stata alla fine presa così sottogamba, sul ruolo di intellettuali e artisti come lui, esorta chiunque a farsi portavoce attivo di un pensiero critico e militante, che impedisca il fiorire in tutta Europa di sentimenti xenofobi e di chiusura culturale.
Rispondendo poi alle domande dei giornalisti, parla della realizzazione delle sue ultime opere; di quanto l’arte (di qualsiasi tipo) abbia sempre avuto un legame stretto col progresso tecnologico; delle nuove, possibili forme di fruizione musicale (“Mi piace molto l’idea che ci possano essere degli album che, oltre ai soliti metodi di diffusione come il Cd o lo streaming, possano essere fruiti in luoghi dedicati, col pubblico intento a muoversi verso la musica e non il contrario”).
È quello che succede con The Ship, il suo ultimo album trasformato, nelle Fruttiere di Palazzo Te, in un’installazione immersiva. Così lo racconta lo stesso Eno: “Ho avuto l’idea di fare una canzone in 3 dimensioni – una canzone in cui vi fosse la possibilità di camminare dentro, una canzone che potesse trasformarsi in una sorta di scultura. Si tratta di alcuni altoparlanti, per mezzo dei quali possiamo fruire delle nostre esperienze musicali e che consideriamo normalmente oggetti neutri. Ma ogni altoparlante è un tipo di voce e in questa installazione ho messo insieme una vasta gamma di altoparlanti, quelli più grandi, più piccoli, quelli buoni, o cattivi, o quelli rotti, e cucito le diverse parti della musica per le loro particolari caratteristiche. Sto cercando di utilizzare il carattere particolare di ogni altoparlante come si potrebbero usare voci differenti in un’opera lirica. La canzone in sé affronta la prospettiva della morte. Quindi è un pezzo che riguarda gli altoparlanti e la morte”.
Ed è proprio così, un’insieme di voci e suoni che attorniano l’ascoltatore dando vita ad esperienza totale e leggermente straniante. I suoni, soprattutto in The Ship la canzone (quella in cui questa idea è portata a maggior compimento, ma è l’intero album ad essere riprodotto), arrivano da una miriade di punti della sala, dando vita ad una tempesta sensoriale, contemporaneamente famigliare e insolita. Famigliare perché certamente accomunabile all’esperienza che un po’ tutti proviamo in qualsiasi momento della giornata, immersi in suoni di tutti i tipi, provenienti da ogni dove; senz’altro insolita, perché qui l’attenzione data a qualsiasi elemento della composizione porta ad una sorta di stordente sovraccarico percettivo, stemperato solo dalle consuete dilatazioni oniriche tipiche della musica di Eno.
La monumentale 77 Million Of Painting for Palazzo Te è un’opera costata ad Eno oltre due anni di lavoro. Composta da un totale di oltre 400 dipinti, essa non può mai ripetersi due volte allo stesso modo. I vari quadri, proiettati su enormi facciate, in questo caso quella del cortile interno di Palazzo Te, vengono infatti scelte in maniera random da un software, dando vita a sequenze ogni volta diverse, a ricombinazioni irripetibili (“Neanch’io so quali quadri, e in che sequenza, vedrete stasera” Brian Eno).
In un’ora e venti di durata, i motivi grafici coloratissimi elaborati da Eno, si stendono sulla facciata del palazzo – ottimo il lavoro di sagomatura effettuato – per un’opera di video mapping fortemente evocativa. Eno sfida ancora una volta la soglia d’attenzione del suo pubblico: i vari quadri transitano l’uno nell’altro molto lentamente (tanto da indurre una sorta di stato ipnotico, aiutato da un loop musicale liquidamente ambientale, ad un volume forse troppo basso), dialogano con la struttura su cui vengono proiettati dandogli una nuova veste, imbastendo uno scambio tra forme artistiche diversissime fra loro, fra antico e moderno (ma come ha specificato lui stesso, quest’aspetto dipende molto dal dove l’opera viene proiettata), in una sorta di valorizzazione e mutazione estetica del pre-esistente. Probabilmente nulla di radicalmente nuovo, ma l’ennesimo invito, da parte di un musicista/artista tra i più importanti degli ultimi quarant’anni, a riflettere sui luoghi che abitiamo, frequentiamo, viviamo, al ripensare tutto ciò che diamo per assodato e scontato in un modo nuovo.
Bian Eno lo aveva detto poco prima in conferenza stampa: “C’è arte e bellezza quando qualcuno riesce a farti vedere in maniera nuova qualcosa che credevi di conoscere benissimo”.
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