Bombino, il chitarrista e cantante del Niger, sta diventando un habitué dei palchi italiani, cosa che, visto il valore della sua musica, non può che farci immensamente piacere. Questo, anzi, ci sta permettendo di tastare con mano la sua continua crescita, certificata senza dubbio dal nuovo album, il fresco di stampa Azel, ma, per l’appunto, anche da concerti sempre più appassionanti. Di tutti quelli visti finora, quello di questa sera al Magnolia di Milano si farà ricordare come quello probabilmente più esaltante, più ricco di suggestioni, quello che maggiormente ha messo in luce tutte le sfumature di quello che con ben poca fantasia è già stato definito l’Hendrix d’Africa.
Che Bombino sia un virtuoso della chitarra è fuori discussione: i suoi velocissimi legati, le sue frasi melodiche, gli assolo che si dipanano come flussi di note ipnotiche e droniche, mostrano un chitarrista a mezza via tra tradizione e modernità, tra rispetto delle radici ed apertura al mondo occidentale. Allo stesso modo fa la band che lo accompagna, sprofondata nell’afro-blues più autentico e polveroso, eppure attraversata da una spinta rock che nel drumming potente, quadrato, ma non privo di sfumature dell’unico musicista bianco in formazione, trova la quadratura del cerchio.
In questa serata l’apertura è stata acustica, con doppia coppia di percussionisti e bassista ad attorniare la voce e la chitarra del leader. Una bella introduzione, un po’ diversa dal solito, che, dopo tre pezzi, ha lasciato il posto al mood decisamente più elettrico e vibrante del resto dell’esibizione. E da lì in poi, per ben due ore filate, Bombino e i suoi tre musicisti hanno dato vita ad uno show intriso degli umori desertici del suo fumigante blues, a volte talmente reiterativo e costruito su moduli ripetitivi da far venire in mente le propaggini più black del post-punk; in altri frangenti reso immortale da un ritmo sinuoso e ammalliante, presto pronto ad impennarsi attraverso le accelerazioni della chitarra; in altri casi ancora, sulle ali di strutture vicine al funk così come al reggae, ovviamente contaminate.
Modesto e timido sul palco – tanto da lasciare al suo bassista l’onere di interloquire col pubblico – ma sicurissimo di sé sia come cantante che come guitar hero, Bombino è ormai una garanzia di grande musica, di passione che scalda il cuore, d’autencità fortunatamente non smarrita. Per farla breve, una boccata d’aria fresca che perderla sarrebbe stato un delitto.