Per chi scrive, i Blonde Redhead sono una di quelle band speciali da custodire nel cuore. Credo di averli visti dal vivo la prima volta quando ancora erano un quartetto e non avevano pubblicato neppure il primo album, di spalla ai Sonic Youth nel loro mitico passaggio per i Giardini Estensi di Varese, in un’epoca in cui vedere concerti nella lake city era ancora un qualcosa di possibile. A tenerne a battesimo i primi passi fu per l’appunto Steve Shelley della gioventù sonica, tramite la sua Smell Like Records, e, a lungo, proprio la celeberrima band newyorkese fu considerata modello e faro musicale per la band dei fratelli Amedeo e Simone Pace e di Kazu Makino. Come saprete, poi le cose sono cambiate e, a un certo punto, la musica dei Blonde Redhead ha perso gli spigoli e si è trasformata in un qualcosa di più apparentabile al dreampop, sia pur visto secondo una personalità marcata che ne ha contrassegnato sempre la carriera, anche nei, comunque rari, passi falsi.
Nonostante in Italia abbiano negli anni continuato a venire – del resto, dopo gli Stati Uniti, siamo il paese in cui hanno suonato di più – da Milano mancavano dal 2017 e io, se devo essere sincero, era dal 2015 che non li vedevo live, rimasto scottato da una pallida esibizione al Carroponte di Sesto San Giovanni (del resto, era il periodo di Barragán, il loro album più debole). La bontà del loro ultimo Sit Down For Dinner e la presenza in apertura di Marta Del Grandi, m’hanno però stavolta fatto ritenere questo loro passaggio dall’Alcatraz di Milano quale evento da non perdere (era l’ultima delle tre date previste in Italia, dopo Ferrara e Torino).
Partiamo da Marta Del Grandi, quindi. Il suo nuovo Selva è uno dei dischi più interessanti dell’ultima stagione, un album nel quale confluiscono canzone d’autore, pop e un pizzico di sofisticata sperimentazione. Di solito in trio, stavolta la cantautrice d’origini milanesi, ma che incide sull’inglese Fire Records, era sul palco da sola, ma la cosa non ha inficiato più di tanto la resa della performance. Alcuni pezzi sono stati messi a punto grazie all’utilizzo di una loop station che stratificava la sua voce, usata come elemento essenziale degli arrangiamenti (la stessa Selva, Mata Hari), in altri casi si è accompagnata con la chitarra elettrica e con un giusto un filo di tastiera messa in base (sempre magica Totally Fine). Ha una voce bellissima ed è autrice di melodie splendide, quindi non è stato difficile il compito di conquistarci anche in questa veste. Brava.
I Blonde Redhead salgono sul palco poco dopo e fin dall’attacco con Falling Man appaiono davvero in forma, suonando stratificati e avvolgenti, con sonorità calde e un dinamismo ritmico marcato, nonostante la scaletta sia stata fatta prediligendo (ovviamente) il repertorio della loro seconda fase di carriera, non troppo concitato, dando ampio spazio soprattutto ai brani del nuovo album, ma anche di quei Misery Is A Butterfly e 23 che sono probabilmente i loro lavori più conosciuti dal grande pubblico.
Il voler mantenere la pienezza di suono dei dischi, essendo loro un trio, gli fa usare qui e là qualche base, ma alla fine la cosa non disturba più di tanto, anche perché Amedeo rimane un chitarrista sempre brillante, Simone un batterista capace di portare altrove la lezione di Steve Shelley aggiungendoci personalità e Kazu, divisa tra synth e basso, rimane una cantante facilmente riconoscibile e unica, qui a prendersi l’onere di cantare il grosso dei pezzi, qualcuno in più quindi rispetto ad Amedeo.
Il tutto fila alla grande, con una setlist che allinea una via l’altra pezzi come Dr Strangeluv, Doll Is Mine, Elephant Woman, prima di iniziare a concentrarsi sulle cose più nuove, che pure dal vivo dimostrano d’essere molto convincenti. Inutile far finta che non sia così, il momento più emozionante per il sottoscritto è però arrivato quando hanno tirato fuori dal cilindro la vecchia Bipolar, proveniente dalla loro epoca noise, e si sono lasciati andare a un sound nettamente più tagliente e rumoroso, atmosfera alla vecchi tempi in qualche modo ricalcata anche dalla Spring And By Summer Fall eseguita subito dopo. Fosse stato tutto così grideremmo al miracolo, ma la verità è che, al di là di questo picco, è nell’insieme che è stato davvero un bel concerto.