Recensioni

Blackberry Smoke, Holding All The Roses

blackberryBLACKBERRY SMOKE
Holding All The Roses
Rounder/Concord/Earache
***½

A pochi mesi di distanza dallo strepitoso disco dal vivo Leave A Scar, esce il nuovo album dei Blackberry Smoke: Holding All The Roses, il loro quarto di studio, il primo per la nuova etichetta Rounder del gruppo Concord/Universal, almeno negli States, mentre in molti paesi europei, Regno Unito in primis, esce per la Earache, che aveva già distribuito il precedente live. Il primo effetto di questo nuovo contratto è il fatto di essere passati nelle mani di un celebre produttore, Brendan O’Brien (Springsteen, Pearl Jam, Neil Young) che non mi sembra abbia snaturato il sound.
Il quintetto della Georgia, guidato dall’ottima voce di Charlie Starr, rimane sempre tra i migliori rappresentanti delle nuove generazioni del southern rock, probabilmente con i Whiskey Myers, anche se per questo nuovo album, che comprende dodici brani, sembrano avere favorito un maggiore approccio alla forma canzone, i pezzi sono tutti intorno ai tre/quattro minuti, uno addirittura un frammento di poco più di un minuto, meno jam chitarristiche, anche se le chitarre si sentono, eccome, ma la ricerca di allargare la base del loro pubblico, forgiato da 250 date all’anno in giro per l’America, con qualche puntata in Europa, sin dal lontano 2000, è evidente. Il gruppo mantiene la formazione originale, con Paul Jackson che affianca Starr alla chitarra solista, la sezione ritmica affidata ai fratelli Brit e Richard Turner, e l’ottimo Brandon Still, che con le sue tastiere rende più vario il suono della band.
Quindi potremmo dire niente di nuovo, per fortuna, sotto il sole, piccoli ritocchi al sound qui e là, ma il tipico southern rock che uno si aspetta è sempre presente: rock intemerati come Let Me Help You (Find The Door), con la doppia chitarra e l’organo che seguono i riff del rock classico più ruspante, le soliste più stringate rispetto all’approccio live e quel piccolo tocco radiofonico che non guasta più di tanto. Anche la title-track Holding All The Roses, con una chitarra acustica e un violino che aumentano la quota country, sferzata dai veloci interventi delle soliste di Starr e Jackson, riporta per certi versi alla epopea di vecchi rockers come Charlie Daniels o la Marshall Tucker, con un suono più “moderno”, senza troppe esagerazioni nelle produzione di O’Brien.
Ogni tanto i pezzi sono più banalotti, come Living In the Song, che oltre a qualche tocco più radiofonico sembra mettere in luce influenze del british pop d’antan, Rockpile, Nick Lowe e anche un’aura vagamente beatlesiana, immersi nel solito tessuto sudista. Rock And Roll Again, tra Fogerty e ritmi boogie non frenetici, è piacevole senza essere memorabile, mentre Woman In The Moon è una delle loro tipiche hard ballads ricercate e malinconiche, chitarre, elettriche ed acustiche, organo e piano che girano intorno alla voce di Charlie Starr, che forse nella produzione di O’Brien perde qualcuno dei suoi tratti distintivi, troppo “trattata” e meno presente, ma è il prezzo da pagare nel passare ad una major, con un suono a tratti più “leccato”, anche se le brevi parti strumentali mantengono un certo fascino che potrà essere sviluppato in concerto. L’elettroacustica Too High, con un sound country-rock che potrebbe ricordare i loro vecchi datori di lavoro ed amici della Zac Brown Band, sta dal giusto lato di Nashville, un mid-tempo assai piacevole impreziosito dai tocchi di un morbido wahwah. Si torna al rock’n’roll con Wish In One Hand, pure questa grintosa nelle chitarre che viaggiano nei canali dello stereo, ma un po’ “pasticciata” nella produzione forse troppo sontuosa, magari con più ascolti potrebbe entrare di più in circolo. Randolph Country Farewell è il breve interludio strumentale acustico di cui vi parlavo in sede di presentazione e precede Payback’s Is A Bitch, uno dei brani più classicamente sudisti di questo Holding All The Roses, la voce di Charlie Starr finalmente in primo piano e le chitarre che finalmente ci danno dentro di gusto (play loud per goderselo a fondo, ma il discorso vale per tutto il CD, che a volumi adeguati, cioè a manetta, ci guadagna). Lay It All On Me ha di nuovo quello spirito country che è comunque uno dei tratti caratteristici e fondanti dello stile dei Blackberry Smoke, con tanto di pedal steel in vista e l’andatura ciondolante e pigra del suono sudista, anche grazie all’organo di Still. No Way Back To Eden è un’altra piccola perla dal tessuto principalmente acustico, con ricchi arrangiamenti vocali e strumentali, tipo la bella coda strumentale, che ne acuiscono la raffinata costruzione sonora e confermano la classe di questa formazione, che ci saluta con una ulteriore bella botta di rock contenuta nella conclusiva Fire In Hole, chitarre ruggenti, ritmica in tiro, tastiere avvolgenti e la voce poderosa di Starr, uno dei loro punti vincenti.

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