Quando veniva annullato il concerto dei Big Thief al Circolo Magnolia di Milano che avrebbe dovuto tenersi domenica 23 febbraio del 2020, non era ancora chiara l’entità di quanto stava succedendo: sul momento sembrava solo una questione di giorni, qualche settimana forse o al massimo un mese e invece il mondo è cambiato per sempre e con esso probabilmente anche l’attitudine live dei Big Thief, almeno a giudicare dallo spettacolo tenutosi all’Alcatraz lo scorso 23 aprile.
Può darsi che per i tanti giovani che affollano l’Alcatraz di Milano, una sala ampia e dall’acustica quasi mai all’altezza della situazione, mascherine, zone rosse, numero di contagi e tanta paura siano ormai solo un vago ricordo, ma ciò non toglie che, anche se i volti sono gli stessi, i Big Thief non siano la stessa band che avrebbe dovuto suonare al Circolo Magnolia, perché il misto di fragilità e emotività che si respira nei dischi e che pervadeva i concerti di qualche tempo fa, è come sommerso dal rimbombo di uno spigoloso e aguzzo sferragliare elettrico che fa venire in mente l’urgenza dell’indie rock più che l’affascinante e crepuscolare folk rock che ha spinto l’autorevole quotidiano The Guardian a definirli “..Una delle migliori band degli Stati Uniti...”.
Del resto i Big Thief devono aver dovuto aggiornare la loro musica all’ampiezza di pubblico e di spazi a cui li ha portati l’incremento del loro grado di fama e alzare il volume viene naturale se si vuole che tutti possano sentire quanto accade sul palco, dove Adrianne Lenker (voce e chitarre), Buck Meek (chitarre), Max Oleartchik (basso) e James Krivchenia (batteria) si dispongono in linea, quasi a sottolineare che all’interno della band non esistono gerarchie, anche se in effetti la cantante è il fulcro intorno a cui gira l’intera giostra dei Big Thief.
Con un talento più unico che raro, Adrianne Lenker scrive le canzoni, le canta come stesse confessando degli intimi segreti, strappa assolo alla chitarra elettrica come fosse Thurston Moore e suona l’acustica come farebbe Emmylou Harris, mentre il resto della band ne asseconda il flusso e gli umori imbastendo traiettorie indie rock o abbandoni folk rock che fanno venire in mente il ruvido alternative country dei primi Wilco.
Sono passate da 10 minuti le 21, quando i Big Thief guadagnano il proscenio tra gli applausi di un Alcatraz se non proprio esaurito decisamente molto affollato, per presentare un repertorio che spazia attraverso la loro discografia e contempla ovviamente diversi brani dell’ultimo doppio album Dragon New Warm Mountain I Believe in You, forse il lavoro in cui le varie anime della band di Brooklyn meglio si coagulano. Sebbene la scarsa qualità audio del locale ne pregiudichi la resa, si intuisce che le canzoni sono poco meno che meravigliose, a partire da una Shark Smile che stabilisce il tenore elettrico in cui affogheranno anche Shoulders, Masterpiece e perfino l’etera Contact.
A parte qualche sporadico cimento con l’italiano e la richiesta di accendere le luci in sala per poter scrutare il pubblico, i Big Thief appaiono poco comunicativi e del tutto concentrati sulla musica, mettendo una in fila all’altra Dragon New Warm Mountain I Believe in You, Simulation Swarm e Flower Of Blood fino al deflagrare rumorista di una grandiosa Not. Quando la spinta scende e la sezione ritmica si fa da parte, Adrienne intona l’acustica Already Lost come fosse una solitaria folksinger degli anni ’60, un brano che in qualche modo segna un cambio di passo del concerto, perché da quel momento ballate come Change hanno un vago profumo di praterie, Dried Roses ricorda le malinconie di certo country, la corale Vampire Empire evoca i sogni elettrici di Bob Dylan, la splendida Cattails pare quasi echeggiare dagli Appalachi e Spud Infinity con l’aggiunta dello scacciapensieri di Noah Lenker suona sghemba e euforica come fosse una versione alternata di The Basement Tapes.
A questo punto la band saluta la folla, le luci si accendono e parte la musica da sala da ballo che preannuncia l’imminente principio della discoteca, ma il pubblico non è contento e reclama a gran voce i Big Thief che concedono infine l’epifania elettroacustica di Certainty e l’insistito di Happy With You. Inutile immaginare quali sarebbero potuti essere l’atmosfera e il tenore del concerto in una sala più raccolta come quella del Circolo Magnolia, oggi i Big Thief suonano ruvidi e elettrici come hanno fatto all’Alcatraz: più che una conferma di quanto fatto nei dischi, una vera e propria rivelazione.