Foto: Rodolfo Sassano

In Concert

Benjamin Clementine live a Milano, 19/7/2018

Il nome grosso in cartellone è quello di Benjamin Clementine, ma il suo spettacolo non era l’unica ragione per venire al Magnolia stasera, visto che oltre alla sua performance c’era anche quella di James Holden & The Animal Spirits. Doppio concerto magari non destinato proprio allo stesso tipo di pubblico, ma potenzialmente interessante per gli appassionati di musica di qualità.

Due i palchi in funzione stasera qui al Magnolia. I primi a salire sul più piccolo dei due sono gli italiani Venerus, ma quando arrivo stanno praticamente finendo e quindi non posso dirne nulla. Il main stage, invece, è già allestito per Clementine, il quale vi sale con la sua band proprio durante il massiccio assalto delle zanzare assassine dell’idroscalo. Si tenta di sopravvivere concentrandosi sulla musica.

Il palco è addobbato con dei manichini – siete umani o siete manichini? chiederà di lì a poco il cantante – con al centro il piano e le tastiere di Clementine e su una pedana a lato un batterista e un bassista (quest’ultimo, all’occorrenza anche chitarrista). Clementine, autore di due ottimi dischi e protagonista di una di quelle storie che tanto piacciono sempre al pubblico – poeta e musicista di strada senza fissa dimora, scoperto quasi per caso e diventato una piccola star – ha una bella voce tenorile e una presenza indubbiamente dotata di carisma. Le canzoni che propone sono tutte molto belle, a giudizio di chi scrive soprattutto quelle che, memori della lezione di Nina Simone, una sua evidente influenza, appaiano soul e tendenze classiciste. Personalmente mi sarei aspettato una maggiore intensità, sostituita invece da una tendenza a gigioneggiare si divertente, ma che ha tolto parecchio pathos alla performance. Forse ero io ad aspettarmi un qualcosa di diverso ma, complici anche arrangiamenti fin troppo minimali, sia pur portati avanti da ottimi musicisti, il tutto mi ha dato l’impressione di un entertainment di classe, al quale un po’ di fuoco e passione in più avrebbe giovato. Momento al confine col trash, poi, quando nel bis si è cimentato, in realtà giochicchiando e nulla più, con la Caruso di Lucio Dalla.

Finita la sua performance, è la volta di Holden e della sua band sul palco più piccolo. Evito di commentare il fatto che il grosso del pubblico se ne sia andato via, riducendosi forse a un decimo di quello che c’era all’inizio, anche perché quelli che c’hanno perso sono indubbiamente loro. Holden, dj inglese di musica elettronica, sta da tempo portando in giro un progetto di contaminazione musicale, ben testimoniato dall’ottimo album intestato assieme agli Animal Spirits, presenti con lui anche questa sera (anche se in una formazione leggermente ridotta, mancava il sassofonista). In pratica si tratta di un’interessantissima fusione di musica elettronica e jazz, a volte orientata a tribali esplorazioni al confine con la psichedelia, altre intente a profilare una visione afro-jazz di grande sostanza. Batteria, percussioni di ogni tipo e foggia e tromba, gli strumenti che i tre Animal Spirits hanno aggiunto alle campiture elettroniche di Holden, per un’ora d’estatica ipnosi decisamente emozionante.

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