Recensioni

Basic, This Is Basic

BASIC
This Is Basic
No Quarter
***

Ognuno ha le proprie fissazioni in fatto di dischi, a volte non del tutto giustificabili, ma per quanto eccentrica, la passione per Basic — l’oscuro album pubblicato nel luglio del 1984 dal chitarrista Robert Quine e dal batterista Fred Maher — condivisa da due «filosofi delle sei corde» come Chris Forsyth e Nick Millevoi è perfettamente in linea con il loro gusto e la loro mentalità. Entrambi esuli dai Voidoids di Richard Hell e dalla band di Lou Reed, quarant’anni fa Quine e Maher idearono un’opera controversa e straniante che aveva poco a che vedere con il loro passato artistico e puntava piuttosto all’avanguardia, al minimalismo e a certe intuizioni ambient di Brian Eno.

«Ho amato quel disco per oltre vent’anni e non ho mai incontrato quasi nessuno a cui piacesse», dichiara Forsyth, che deve essere rimasto non poco sorpreso quando Millevoi gli ha confessato non solo la propria ammirazione per quel poco celebrato lavoro, ma anche il pensiero secondo cui «c’è ancora del materiale inesplorato in quei suoni». In quel momento di reciproco entusiasmo è nato il progetto Basic, che oltre ai due chitarristi comprende Mikel Patrick Avery, il batterista dei Natural Information Society: come fecero Quine e Maher, il trio si ritira tra le stanze di un appartamento equipaggiato di un registratore a quattro piste e di una drum-machine e dà inizio a turbinose jamsessions di pura improvvisazione che portano alla realizzazione di This Is Basic, un disco in tutto e per tutto ispirato alle atmosfere «altre» della pietra miliare del passato.

Una di quelle idee geniali che vengono in mente a musicisti estrosi come Forsyth e Millevoi. Piuttosto che tentare di spiegare cosa sia This Is Basic, è più facile individuare cosa in effetti non è: non si tratta di un disco noioso e nemmeno di uno qualunque (oggi come oggi, caratteristiche che fanno tutta la differenza), anche se l’ascolto di una musica ondivaga e priva di concreti punti di riferimento come quella che riempie le sei lunghe tracce del lavoro presuppone una discreta apertura mentale.

Benché ne abbia tutte le caratteristiche, non si tratta propriamente di rock’n’roll e il punto di riferimento di un’opera del genere, invece di un qualsiasi album dei Rolling Stones, potrebbe essere il ribollire di creatività del Bitches Brew di Miles Davis. Forsyth e Millevoi intavolano un fitto e a volte nevrotico dialogo chitarristico, mentre Avery governa le ipnotiche pulsazioni dell’elettronica e sparge fruscii di percussioni in un sovreccitato flusso sonico solo strumentale che combina prog, no-wave, avanguardia e psichedelia, come capita nelle improvvisate fiammate elettriche di una lunga For Stars Of The Air, nello spigoloso post-punk di Nerve Time, in uno scombussolato mantra lisergico come Last Resort Of The Gambling Man, nell’isteria proto-industrial di una nevrastenica Versatile Switch o nel grandioso rifferama di New Auspicious.

Difficile possa finire in qualche lista di dischi da isola deserta delle future generazioni (anche se non si sa mai), ma This Is Basic è uno dei progetti (o forse sarebbe meglio dire esperimenti) più curiosi, stravaganti e in un certo senso geniali realizzati negli ultimi tempi. 

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