Recensioni

Arooj Aftab, Night Reign

AROOJ AFTAB
NIGHT REIGN
VERVE
****

Anche Arooj Aftab si è posta la domanda sul come dar seguito al clamoroso successo di Vulture Prince (2021): in fondo pur non essendo realmente la sua opera prima (il disco era stato preceduto da un paio di album negli anni precedenti), la vera maturità compositiva per questa splendida e non più giovanissima artista pakistana trapiantata a New York è arrivata con quel magico album, per molti (compreso chi scrive) una delle cose più belle ascoltate quell’anno.

Pakistana, dicevamo: sebbene recuperi la tradizione e canti in Urdu, il termine World music, per quanto possa apparire appropriato, è davvero troppo stretto e molti magari potrebbero perdersi questo treno musicale proprio per queste etichettature, a volte semplicistiche e forzate. Qui si parla di musica ed emozioni che non si possono ingabbiare, di slanci poetici fatti di intimità personale, di attenzione verso il sociale, di bellezza dell’amore e in egual modo di miserie umane.

Vulture Prince ha raccolto consensi pressoché unanimi da parte della critica e ha decisamente ampliato la conoscenza della Aftab che, per inteso, è una compositrice a tutto tondo e ha un dono: una voce unica, magnificamente evocativa e suadente, che pare venuta dal mistero. Arooj ha preferito prender tempo, ed ecco che lo scorso anno ci siamo ritrovati tra le mani un lavoro in trio, Love in Exile, dove si accompagnava con Vijay Yier e Shahzad Ismaily, che di nuovo ci faceva accapponare la pelle, certo con collaboratori di rango, ma i tappeti liquidi di piano ed elettronica, sui quali galleggiava quasi magicamente la voce di Aftab, ne facevano un altro gioiello imperdibile, una creatura a sé che, a sua volta, ci faceva domandare se avrà un seguito.

Tornando alla Aftab solista, di che musica si parla? È uno di quei casi in cui è quasi bello non saper rispondere: certe le influenze orientali dell’area di origine, sicuro il misticismo religioso che ha pervaso e pervade alcune discipline religiose di quelle aree, ma qui c’è anche il respiro di un jazz morbido e senza frontiere, di un folk pop sofisticato e minimalista che risente delle influenze occidentali, e quella voce, voce unica che merita un ascolto profondo e sì, quasi religioso.

I suoni di Vulture Prince risentivano di quanto appena citato, per una scrittura chiaroscurale che parlava di rimpianto (disco dedicato al fratello scomparso) e di malinconia, con qua e là a spuntare il sole, ma con la luce che veniva soprattutto da dentro, abbagliante.

Questo nuovo Night Reigns spazza via da subito qualsiasi dubbio relativo alla tenuta della famosa seconda prova: è un disco splendido, persino superiore a quello che lo ha preceduto. Qui tutto si fa più ricco musicalmente, ma resta soffuso e preziosamente delicato. La notte è sovrana in questi brani, come appunto suggerisce il titolo stesso, e questo momento di silenzio e raccoglimento, attraverso nove brani per poco meno di cinquanta minuti, viene dipinto con colori diversi, viene cantato con diverse sfaccettature, siano quelle dell’amore puro o sensuale, siano quelle delle ineguaglianze e della povertà, con un alfabeto ricco di suoni ed emozioni.

L’inziale Aey Nehin ci trasporta subito in questa atmosfera, col gioco delle due chitarre acustiche di Kaki King e Gyan Ryley e l’arpa di Maeve Gilchrist, ed è un inizio coi fiocchi. Na Gul, Ancor più lenta e meditata, dominata dalla voce di Arooj e dall’arpa, è un bellissimo canto d’amore derivato da una poesia antica di Mah Laqa Bai Chanda, davvero notevoli gli intrecci sonori tra chitarra, arpa e il filicorno di Nadje Noordhuis, moderno ed antico a fondersi mirabilmente.

Sorprendente e spiazzante è poi la cover di Autumn Leaves, davvero originale, inedita nel suo incedere ipnotico, con l’elettronica percussiva della stessa Aftab e lo straordinario basso di Linda May Han Oh e le tastiere di James Francies che si concedono una breve e toccante parte solistica. Ma tutto il disco risulta denso e intricato, scarno ma complesso, con la voce di Arooj a dominarne il destino, a plasmarne gli stati d’animo. Bolo Na è un’altra perla, di oltre sei minuti, ancora il drum sequencing della Aftab, questa volta accompagnata dal basso di Shazhad Ismaily, il vibrafono di Joel Ross ed il recitato di Moor Mother, al secolo Camae Ayewa, poetessa e musicista, attivista integerrima e co leader degli Irreversible Entanglements. Questo è il brano più politico e schierato dell’album, un atto d’accusa al mondo capitalistico, alla perdita dei valori, alle brutali disuguaglianze che ci circondano.

Saaqi è di nuovo basato su una poesia della Bai Chanda, poetessa alla quale Arooj avrebbe voluto dedicare, musicandolo, un disco intero, progetto poi rientrato. Quel che è rimasto, a parte la Na Gul citata in precedenza, è questo tappeto etereo di suoni creati dal piano di Vijay Yier, dal basso di Petros Klampanis e dal violino di Darian Donovan Thomas. Uno dei vertici di un’opera che comunque risulta sostanzialmente priva di punti deboli o momenti di stanca.

Last Night era un brano edito nel precedente Vulture Prince e, per quanto azzeccato ed accattivante, mi era sembrato l’unico brano fuori posto con quel suo tono reggae che poco si sposava con l’atmosfera del disco. Qui lo ritroviamo completamente stravolto come Last Night Reprise e ci piace molto di più: con il basso di Klampanis a dettare il tempo, impreziosito dal flauto di Cautios Clay, dall’arpa della Gilchrist (davvero importante la sua presenza nell’economia dell’opera) ed un cameo di Elvis Costello al Wurlitzer.

Raat Ki Rani è forse il brano più immediato e facilmente assimilabile del disco, non fosse per la proposta dell’opera, tutt’altro che mainstream, potrebbe essere destinato ad un certo successo (sic). Brano davvero molto bello e in qualche modo più arioso, solare giusto per creare una dicotomia con il senso di quest’opera notturna.

Ci si avvicina alla fine con Whiskey, uno dei pochi brani cantati in inglese, che parla appunto di ubriacatura e stordimento nelle ore piccole, ci ritroviamo Linda May al basso, così come le chitarre di Kaki King e Gyan Riley ed un bel lavoro al piano di un’altra compositrice dalle parti di Brooklyn, TimaLikesMusic. Zameen è il brano di chiusura, solo la voce di Arooj ed il piano di Marc Anthony Thompson (Chocolate Genius Inc): una chiusura in bellezza, sognante e meditativa. Artista notevole ed in decisa ascesa, Arooj Aftab pare destinata a darci molte altre soddisfazioni. Grande disco.

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