Ha solo 23 anni, eppure per Adele Nigro sono già lontanissimi i tempi in cui, sedicenne, si esibiva come metà del duo folk Lovecats. Oggi, col suo progetto Any Other, si può ben dire, e senza tema di smentite, che è una delle migliori artiste in circolazione in Italia. Forse era ancora difficile da capire all’epoca del primo album, Silently. Quietly. Going Away, sicuramente molto bello, ma in parte ancora un po’ acerbo, anche se con il talento già ben visibile in controluce. Appare chiarissimo oggi invece, all’indomani dell’uscita di Two, Geography, uno dei migliori dischi dell’anno in corso, sia chiaro, non solo italiani. Ora non vorremmo caricare Adele di troppe responsabilità, ma alla luce della performance vista qualche sera fa al Serraglio di Milano, non è peregrino riporre in lei grandi speranze e fiducia per un futuro che si prevede luminoso.
La prima cosa che fa bene al cuore è entrare nel locale e trovarlo pieno come un uovo. È il sintomo che le sue canzoni sono arrivate a colpire molte persone e, dando un’occhiata alla composizione dell’audience, si nota come queste siano arrivate sia ai giovani, che agli ascoltatori, diciamo così, più stagionati.
È una bella sorpresa, inoltre, scoprire che ad aprire la serata c’è Tobjha dei C+C=Maxigross, sul palco a presentare alcune canzoni del suo debutto solista, Casa, Finalmente, uscito qualche mese fa. Il mood intimo che già l’album esponeva, in questa versione voce e chitarra si fa ancora più raccolto e bisogna prestare attenzione per farsene conquistare. Non sono canzoni usuali e tradizionali le sue, ma lui è bravo a farle galleggiare nell’aria come se fossero piccole poesie sonore, contornandole con piccole presentazioni, raccontandoci come in fondo il suo progetto e quello di Adele facciano parte di un’unica famiglia allargata. Anche quando rispolvera un vecchio pezzo di Battisti lo riconduce alla sua poetica, e questa è una di quelle cose che di solito riesce bene a chi sa cosa sta facendo. Bravo, insomma. Alla fine del concerto, scambiandoci due chiacchiere, mi ha rivelato che anche i C+C=Maxigross stanno per tornare con un nuovo album, ovviamente atteso fin d’ora.
Quando sono quasi le 23 è quindi la volta di Adele e compagni. Stasera con lei, ovviamente a voce e chitarre, ci sono Giacomo Di Paolo al basso, Alessandro Cau alla batteria e l’amico e collaboratore di sempre Marco Giudici alle tastiere. Stare sul palco non è certo una novità per Adele – per ben dieci mesi è stata in tour con Colapesce dove, oltre a cantare e suonare chitarra e sassofono, aveva un po’ il ruolo di coordinare l’intera band – ma appare timida, un po’ intimorita. Coi capelli raccolti e un vestito datole da un’amica che la fa sembrare un personaggio di The Handmaid’s Tale, confessa che è suonare a Milano che la rende nervosa. Bastano però le prime note di A Grade, il pezzo che apre l’ultimo album, per venire travolti dalle emozioni.
Con le date europee appena terminate, per il tour italiano la decisione è quella di suonare l’intero Two, Geography dall’inizio alla fine. È una scelta, questa, che pare voler affermare nuovamente l’importanza di un disco nato in un momento difficile, ma diventato invece un turning point artistico d’incomparabile potenza espressiva. Dal vivo le canzoni risultano più asciutte ancora, ma se qualcosa perdono in termini di sfumature sonore (completamente assente il sassofono), molto guadagnano per quel che riguarda spontaneità e immediatezza.
La band è davvero ottima nel suo insieme e, per quel che mi riguarda, ho trovato assolutamente straordinario il lavoro di Cau sui tamburi: fantasioso, lontano dall’ovvio, capace di sfumature jazz e di dare alle canzoni quell’aura quasi avant-folk che in effetti, già a partire dalla scrittura, mette le canzoni di Any Other sullo stesso piano di quelle di formazioni quali Califone, Akron/Family, finanche di certi Wilco.
La cosa che impressiona di più, però, è l’incredibile maturità vocale di Adele, in grado di modulare e gestire la sua voce in maniera notevole, senza perdere per un istante quella urgenza comunicativa che rende alcuni passaggi addirittura strazianti e commoventi. Le canzoni del disco, ottime di per sé, nella loro versione live, si fanno carne e sangue, si offrono di diventare un’ancora a cui aggrapparsi, un luogo in cui far defluire i propri sentimenti. Prima di Capricorn No, in una delle più uniche che rare presentazioni ad un brano, ha detto: “Ho scritto questa canzone in un momento in cui non stavo troppo bene, alla fine ho capito che è ok anche non stare bene, per cui non ascoltate quelli che vi dicono il contrario”, mettendo in mostra l’effetto catartico che le canzoni, seguendo vie diverse, possono avere.
Finito l’album, avvisa che non ci saranno bis (“Con me funziona così, baby”) e arriva giusto all’ora di durata ripescando tre pezzi dall’esordio: Something, His Era e una favolosa Sonnet #4 eseguita in solitaria e semplicemente da brividi, un piccolo regalo per il pubblico milanese, visto che ci ha informato che non era prevista in scaletta e che non la suonava da molto tempo. Tre pezzi perfettamente amalgamati al resto della scaletta, a riprova di quanto dicevamo all’inizio: il talento c’era fin da subito!
Una serata da ricordare insomma, di quelle che non capitano così di frequente. Non perdetevela dovesse capitare dalle vostre parti e, se non lo avete ancora fatto, procuratevi il disco.