Sarà per l’indimenticata bellezza dei suoi dischi, per la tragica e prematura fine o perché sempre e comunque pare non retrocedere mai il bisogno di miti, ma ancora oggi il nome di Elliott Smith è sulla cresta dell’onda. Lo dimostrano, a quattordici anni dalla scomparsa, non solo antologie e ristampe – l’ultima delle quali, imminente e in occasione del ventennale dalla sua prima uscita, vede il classico Either/Or sottoposto al trattamento Deluxe, con pezzi live e almeno una canzone mai pubblicata prima – ma anche un film (sia pur discutibile) quale “Heavens Adore You”, a perpetrarne la memoria, ad uso e consumo di vecchi e nuovi fan.
Se c’è un cantautore che, negli ultimi anni, oltre che al connazionale Neil Young, spesso è stato accostato a Smith, questo è il canadese Andy Shauf. Indubbiamente la sua scrittura ha tratto ispirazione da entrambi, accoccolandosi in canzoni folk malinconiche e romantiche, dove le trame intime ed acustiche rifiorivano grazie ad una buona capacità di tratteggiare melodie pop e a una sensibilità indie in filigrana. Considerare Shauf un puro emulo sarebbe però sbagliato e soprattutto ingeneroso, visto anche il salto di qualità fatto col suo ultimo album, l’ottimo The Party, uscito su Anti ormai una decina di mesi fa, un disco molto più personale e maturo di quelli interessanti, ma leggermente più acerbi, che lo avevano preceduto.
Accompagnato da una band composta da sezione ritmica e due clarinettisti, per la prima volta nella sua carriera, Shauf è arrivato in Italia per un paio di date, a Carpi e qui al Magnolia dove ci siamo recati noi. E che sia un astro nascente è stato confermato anche da una buona affluenza di pubblico, assai caloroso e soprattutto partecipe, che ha dato mostra di conoscere piuttosto bene il repertorio dell’artista.
In circa un’ora e mezza, Shauf ha messo in campo le sue ballate gentili, accompagnando la sua voce con una chitarra acustica, punteggiata da basso e batteria mai invadenti ma sempre puntuali, oltre che dalle coloriture avvolgenti apportate dai due clarinetti. Repertorio basato interamente sugli ultimi due album, il citato The Party e The Bearer Of Bad News, senza dubbio i suoi lavori migliori e più conosciuti, con l’unica deviazione in una svagata e poppeggiante Jenny Come Home, credo uscita solo su singolo.
Di certo Andy non è né un istrione, né un gran chiacchierone – giusto un paio di battute quelle rivolte al pubblico – ma fa parlare per lui le sue canzoni, che nella maggior parte dei casi non ci mettono molto a trovare una via per arrivare dirette al cuore degli appassionati di queste sonorità. Un concerto soffuso ed emozionante, molto omogeneo, che proprio nel finale ha calato come assi tre pezzi che farebbero la felicità di chiunque voglia misurarsi con la scrittura di brani perfetti, ovvero la toccante Martha Sways, l’ariosa e dolcemente malinconica The Magician e la lunga e magistrale Wendell Walker, il solo pezzo proposto nel bis e per il sottoscritto zenith dell’intero show.
Per chi se lo fosse perso questa volta, Andy Shauf tornerà in Italia a giugno, il 10 a Parma (al Teatro Regio), l’11 a Galzignano Terme (PD) (all’Anfiteatro del Venda) e il 13 al Monk di Roma.